Alessandro Barbera. Negli Stati Uniti la chiamano «jobless recovery», ripresa senza lavoro. È l’incubo dei governanti di mezzo mondo. In House of Cards, la popolare serie prodotta da Netflix, il presidente Frank Underwood trova una soluzione keynesiana e creativa: un massiccio piano di posti di lavoro finanziati dallo Stato svuotando il fondo per i disastri ambientali.
I dati di febbraio sull’andamento dell’occupazione in Italia non promettono nulla di buono. Nonostante gli sgravi fiscali, il numero complessivo dei disoccupati, giovani e non, è tornato ad aumentare. È però troppo presto per trarre conclusioni. A Palazzo Chigi ricordano che gli effetti positivi di una ripresa si riflettono sull’occupazione almeno sei mesi dopo i primi segnali. Se la regola verrà rispettata, e poiché in Italia l’attività produttiva in agosto si ferma, un giudizio attendibile sarà possibile solo da settembre. Nel frattempo il governo dovrà avere fatto i piani per il 2016, e trovare i fondi per confermare uno sgravio – quello per le assunzioni a tempo indeterminato – che per stessa ammissione del governo non è pienamente finanziato nemmeno per quest’anno.
Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan esclude soluzioni alla Underwood. «Non sforeremo le regole europee», promette. Semmai «ci avvaleremo della nuova flessibilità nel modo più efficiente possibile in una prospettiva di medio termine». Che significa? Se l’uscita dalla recessione non ci permette più di ricorrere alle cosiddette «circostanze eccezionali» usate per far tornare i conti dell’anno scorso, nella complicata babele delle regole europee l’Italia ha ancora una cartuccia a disposizione. È la stessa Commissione a parlarne, il 13 gennaio, nella sua ultima «comunicazione»; è la flessibilità garantita dai «costi a breve termine» delle riforme che ogni Stato membro decide di attuare. In sintesi: poiché l’Italia ha deciso di approvare alcune riforme chieste dalla stessa Commissione, sarà possibile escludere dal calcolo del deficit buona parte degli oneri. La nuova clausola potrebbe valere uno sconto sul deficit fino a mezzo punto di prodotto, ovvero otto miliardi di euro. L’attuazione del Jobs Act rientra fra le riforme finanziabili con questa clausola.
Il governo deve anzitutto fare fronte al successo della decontribuzione, lo sgravio grazie al quale molte imprese stanno trasformando in stabili contratti finora precari. Secondo i calcoli dei Consulenti del lavoro alla fine dell’anno le richieste di decontribuzione saranno per 1,1 milioni di contratti. Calcolando un costo medio pari alla metà del tetto previsto dalla legge, il costo sarà di 4 miliardi e 750 milioni di euro, molto più degli 1,8 miliardi stanziati con la legge di Stabilità. Quindi c’è da trovare i fondi per il 2016. Il Documento di economia e finanza, che il governo varerà a cavallo di Pasqua, deve già indicare quel che il governo intende fare. «Sarà il più espansivo possibile», ma «in modo selettivo», ha detto ieri Padoan in audizione in Parlamento. Il governo ha già fatto sapere che confermerà gli sgravi per il lavoro anche nel 2016, ma deve ancora decidere come modularli.
Saranno concentrati sui più giovani? O solo sull’occupazione aggiuntiva? Il calo dello spread con i Bund tedeschi dà una mano al governo: nei primi tre mesi dell’anno il fabbisogno di cassa è sceso di quasi nove miliardi di euro rispetto ai primi tre mesi del 2014.
La Stampa – 2 aprile 2015