I poveri non sono più 10 milioni, ma 7,8. E dove sono finiti gli altri 2,2 milioni? Non ci sono mai stati, perché i calcoli erano fatti male. Semplificando, è questo il messaggio comunicato ieri dall’Istat, che, cambiando metodo d’indagine e rettificando le serie storiche, ha scoperto che in Italia ci sono un paio di milioni di poveri in meno di quanto lo stesso istituto di statistica credesse. La storia è complessa e va raccontata passo dopo passo.
Ogni anno l’Istat, alla metà di luglio, diffonde il Report «La povertà in Italia». L’anno scorso, in riferimento al 2013, risultava che ci fossero 10 milioni di poveri «relativi», di cui 6 milioni in povertà assoluta. I «relativi» sono quelli che stanno sotto una certa soglia di spesa mensile, che varia in base al nucleo familiare (circa mille euro per due persone), gli «assoluti» quelli non in grado di acquistare un paniere di beni e servizi essenziali. Secondo il Report diffuso ieri, nel 2014, i poveri relativi sono scesi a 7 milioni 815 mila, di cui 4 milioni 102 mila assoluti. Ma, dice l’Istat, la povertà «si mantiene sostanzialmente stabile» rispetto al 2013. Com’è possibile? Perché, spiega lo stesso istituto guidato da Giorgio Alleva, è cambiata la base d’indagine. Con effetti retroattivi.
Fino all’anno scorso si utilizzava l’«Indagine sui consumi» mentre ora si usa l’«Indagine sulle spese delle famiglie», una rilevazione, secondo le direttive Eurostat, più dettagliata e sofisticata, per l’articolazione del campione (28 mila famiglie in 500 comuni) e del questionario. E i risultati sono molto diversi. Per oggi, ma anche per il passato, sostiene l’Istat. Che nel Report di ieri avverte: «Le modifiche sostanziali introdotte hanno reso necessario ricostruire le serie storiche a partire dal 1997; i confronti possono essere effettuati esclusivamente con i dati in serie storica allegati» e non coi precedenti.
E cosa dice la nuova serie storica? Che nel 2013 i poveri relativi erano 7,8 milioni (invece di 10) e quelli assoluti 4,4 (invece di 6). Più o meno gli stessi numeri del 2014. Stabilità sostanziale, quindi, conclude l’Istat, mentre il premier Matteo Renzi parla di «Italia che ha svoltato». Andando a ritroso si vede che nel 2007, prima della crisi, la povertà relativa colpiva 6 milioni di italiani e da allora c’è stato un costante aumento fino ai 7,8 milioni del 2013 (+30%). Stessa cosa, ma a ritmi molto maggiori, per i poveri assoluti, saliti da 1,7 milioni nel 2007 ai 4,1 attuali, il 140% in 8 anni. Si tratta, però, di numeri migliori di quelli diffusi dallo stesso Istat fino all’altro ieri. La precedente serie storica, che è stata buttata nel cestino, vedeva infatti 1,5-2 milioni in più di poveri relativi all’anno e tra 700 mila e 1,5 milioni in più di poveri assoluti.
Le revisioni statistiche non sono una novità. Sono necessarie quando si mettono a punto strumenti d’indagine più avanzati. La vicenda della povertà conferma che le indagini campionarie, in quanto tali, hanno evidenti limiti o — detto in positivo — netti margini di miglioramento. Comunque sia, anche con le nuove stime, i poveri rappresentano pur sempre il 13% della popolazione (e quelli assoluti circa il 7%) e sono in costante crescita dal 2003, quando, secondo la nuova serie storica, erano 5,7 milioni, cioè 2,1 milioni in meno. Numeri preoccupanti, anche se non è possibile un confronto puntuale con gli altri Paesi europei. Perché, spiegano all’Istat, l’indice usato da Eurostat è quello del rischio povertà, che stima le persone con un reddito inferiore al 60% di quello mediano, dopo i trasferimenti sociali. In Italia il 19% contro una media Ue del 16,6%.
E i 15 milioni di poveri di cui ha parlato recentemente il presidente dell’Inps, Tito Boeri, nel rapporto annuale dell’istituto? Si riferiscono a un altro indice ancora, quello di «deprivazione» (famiglie che non riescono a far fronte a spese impreviste o andare in ferie o sono in bolletta), che secondo l’Istat toccherebbe appunto 14,6 milioni di italiani. Difficile districarsi in questa confusione, anche per il governo che promette di intervenire contro la povertà. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, vedrà nuovamente oggi associazioni del terzo settore, Confindustria e sindacati per illustrare le linee del suo piano. Che poggia sulla proposta del Reis, il reddito di inclusione sociale messo a punto dall’Alleanza contro la povertà: servirebbero, però, secondo gli autori, 1,8 miliardi nel 2016 e 7 miliardi a regime.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 16 luglio 2015