di Paola De Carolis, il Corriere della Sera. L’11% dei medici del servizio sanitario britannico e il 4% dei suoi infermieri provengono dall’Ue. Quale saranno le ripercussioni della Brexit sull’Nhs? Se c’è tra i residenti Ue un’impennata nelle richieste di cittadinanza — 38.000 nell’autunno 2016 rispetto a 9,700 nello stesso periodo dell’anno precedente — nel campo sanitario si verifica la tendenza opposta.
Secondo una ricerca della British Medical Association , il 40% dei medici che hanno studiato in Europa sta meditando di lasciare il Regno Unito. C’è chi, con il referendum, non si sente più a proprio agio, chi trova il ritmo e le condizioni del lavoro stressanti, chi semplicemente non vuole affrontare l’incertezza dei prossimi anni.
Per il Guardian si tratta di «un disastro» in agguato. Per il presidente della BMA Mark Porter i risultati del sondaggio sono «inquietanti». Dei 1.193 medici europei consultati, 500 (42%) hanno indicato che stanno pensando di andarsene, 309 (26%) che rimarranno, 278 (23%) che non sono sicuri.
«Sono professionisti che lavorano nei nostri ospedali e nei nostri ambulatori, che si prendono cura di pazienti vulnerabili nelle nostre comunità, che conducono ricerche scientifiche di importanza vitale, che salvano vite. Molti di loro hanno dedicato anni della loro vita all’Nhs: è molto preoccupante che abbiano intenzione di andarsene». Non è solo un problema di numeri, ha aggiunto: «La qualità del servizio sanitario sale quando i medici hanno esperienze e specialità diverse».
Il ministero per la Sanità ha sottolineato che «il contributo di medici stranieri nell’Nhs è cruciale e molto apprezzato», anche se «l’esecutivo punta a dare a più studenti in Gran Bretagna la possibilità di studiare e praticare medicina». L’emigrazione specializzata, in pratica, potrebbe in futuro essere meno estesa.
Come vivono l’incertezza i tanti medici italiani del Regno Unito? «La maggior parte vede una situazione invariata, anche perché qui il sistema sanitario esprime bene la multiculturalità della società», spiega Luca Molinari, pediatra del Guy’s and St Thomas’s Hospital di Londra che ha interpellato i 1705 membri del gruppo Facebook Medici italiani a Londra. Orietta Emiliani, medico generalista, è a Londra da 36 anni e non ha notato «alcun cambiamento».
Giuseppe Rosano, primario di cardiologia del St George’s Hospital, sottolinea che «l’esperienza lavorativa nel Regno Unito è molto stimolante e il lavoro è facilitato dalla perfetta organizzazione». Non ha notato, aggiunge, l’insoddisfazione di cui parla il Guardian . I pazienti «sembrano contenti di essere trattati da un medico europeo. Forse abbiamo maggiore empatia».
Giovanni Satta, professore di microbiologia e malattie infettive del St Mary’s Hospital, precisa di non aver avuto alcun problema legato alla sua nazionalità, anzi: «I pazienti si dimostrano sempre molto grati». «L’Nhs — dice — rimane uno dei sistemi sanitari più efficienti al mondo, anche se le difficoltà ci sono».
Francesca Rubulotta, anestetista del Charing Cross Hospital, ha invece esperienze diverse. «Con il referendum mi sento un’immigrante. La mia personalità mediterranea è stata a lungo un vantaggio, adesso mi sembra considerata una debolezza. Con il crollo della sterlina il mio stipendio sta diminuendo. Perché mai restare?».
24 febbraio 2017