Una dirigenza che funzioni il più possibile con le regole di mercato. Con ruolo unico, superamento delle fasce, mobilità vera e carriere costruite sulle valutazioni guadagnate incarico dopo incarico. Eccolo il cuore degli interventi nella Pubblica amministrazione messi in cantiere dal ministro Marianna Madia e sui quali si è aperta una consultazione. «Il cambiamento per essere concreto deve partire dalle persone. E noi vogliamo valorizzare al massimo le persone che lavorano nelle amministrazioni, rendere il settore pubblico all’altezza del suo ruolo che è quello di essere l’azienda leader del nostro Paese». Il ministro Marianna Madia ieri ha annunciato con un tweet che in due giorni sono già arrivate tremila lettere all’indirizzo. «Le leggeremo tutte» assicura in quest’intervista al Sole 24Ore.
«E con un professore di statistica stiamo lavorando a un sistema di classificazione lessicale veloce per incrociare le lettere con i 44 punti in cui si articolano le linee guida degli interventi annunciati. Come abbiamo scritto nella nostra lettera vogliamo fare sul serio».
Ministro sul ruolo unico della dirigenza c’è un illustre precedente: quello di Bassanini. Poi cancellato dopo un anno dal suo successore, Franco Frattini. Da dove si riparte?
L’idea è quella di una dirigenza dinamica ed esposta alla misurazione della performance dal primo giorno d’incarico. Il ruolo unico senza fasce ci serve per fare vere carriere basate sulle valutazioni incassate, valutazioni che non devono essere sulla persona ma sulla performance dell’ufficio. Si sale se l’incarico è più importante e si può scendere se si viene sostituiti: anche un capo dipartimento può retrocedere se non riesce nei suoi obiettivi. Come funzionerà? Chi accede alla dirigenza con un concorso entra nel ruolo unico e inizia a percepire la parte fissa di stipendio. Verifica tutti gli interpelli aperti e cerca il suo primo incarico, oppure può trovare un posto nel privato mantenendo il diritto acquisito nella forma di aspettativa non retribuita. Solo dopo un certo tempo congruo di tutela, che dobbiamo stabilire, si può arrivare al licenziamento per mancanza di incarico. Lo stesso vale per il dirigente che perde invece l’incarico che già ricopre dopo, per esempio, uno spoil system: ruolo unico, interpelli, e tempo di garanzia per cambiare con lo stipendio limitato alla parte fissa.
Dunque carriere non più a senso unico e porte girevoli tra Stato e mercato?
Pensiamo a un’osmosi tra pubblico e privato che può arricchire la dirigenza. Anche il tetto alle retribuzioni rientra in questa logica. Non è solo un provvedimento preso in tempi di vacche magre: chi lavora bene nell’alta dirigenza dello Stato ha opportunità forti di carriera nel privato ed è giusto che la sua remunerazione abbia un limite.
E come concilierete le specificità di determinate funzioni pubbliche?
Sul ruolo unico abbiamo aperto un confronto con i colleghi di Sanità, Scuola ed Esteri per capire come garantire al meglio queste specificità.
E con la nuova dirigenza si cambia anche il sistema delle scuole di formazione.
Da cinque a una. Ci proviamo, questo è il nostro obiettivo.
Dopo il Consiglio dei ministri, mercoledì avete insistito su un punto: i nuovi interventi sulla Pa non mirano ai tagli di spesa.
Lo confermo. Il nostro piano strategico mira alla definizione dei fabbisogni di ogni singola amministrazione e alla realizzazione della più ampia mobilità possibile, sia nella forma volontaria sia in quella obbligatoria.
La mobilità non ha funzionato finora. Guardi il caso degli uffici giudiziari scoperti.
È un caso dal quale abbiamo imparato molto: si fa una norma per incentivare la mobilità volontaria in quel settore e poi chi fa domanda per il trasferimento, come in qualche amministrazione provinciale, non riesce a spostarsi per cavilli burocratici e opposizioni interne. Cercheremo di far funzionare la mobilità volontaria con una regìa rafforzata del Dipartimento Funzione pubblica, esercitando una più forte volontà politica. Invece va meglio normata la mobilità obbligatoria, vanno definite le tabelle retributive e i parametri sulle distanze chilometriche massime per un trasferimento. Su questo aspetto il lavoro con gli enti locali sarà molto importante.
A proposito di mobilità, pensate anche di andare avanti anche con la razionalizzazione dei comparti del pubblico impiego?
È un tema che vogliamo approfondire e che resta sul tavolo. Sarebbe bello riuscire a fare il riordino prima dell’apertura del confronto sul contratto.
Un confronto sulla parte normativa o anche su quella economica?
Sappiamo tutti quali sono i vincoli di finanza pubblica e sappiamo quanto costa il rinnovo dei contratti. Sappiamo che con poche risorse è difficile premiare meriti e risultati ma è questo il contesto dato e in questo contesto dobbiamo muoverci.
Insomma attuerete parti della riforma Brunetta rimasti sulla carta?
Bisogna dare piena attuazione a tante misure da tempo vigenti e che possono far fare un salto di qualità alla Pubblica amministrazione. C’è il tema dei comparti ma c’è anche quello della valutazione delle performance organizzative. Si tratta nel secondo caso di norme che possono essere semplificate ma bisogna andare avanti con la valutazione delle performance.
Volete davvero agganciare le retribuzioni di risultato anche a esogene macroeconomiche come l’andamento del Pil?
È una scelta che risponde alla logica di cui parlavo prima. Pubblico e privato devono essere in osmosi: se nel privato rischi il posto quando la recessione colpisce, nel pubblico devi rinunciare a un pezzetto della tua retribuzione di risultato se l’economia arretra. È un nuovo equilibrio di rischio-opportunità che dobbiamo provare a introdurre.
Siete sicuri che con l’abolizione del trattenimento in servizio si aprono 10 o 15mila posti per i giovani?
Abbiamo lavorato sui dati dei trattamenti di fine servizio della Ragioneria generale dello Stato e quelli sono i numeri possibili da qui al 2018.
E dimezzerete anche i permessi sindacali…
Mi sembra un’altra razionalizzazione necessaria. I permessi sindacali nel settore pubblico sono pagati dalle amministrazioni e in un contesto come quello attuale mi sembra giusto ridurre questa voce senza toccare i diritti di rappresentanza dei lavoratori.
Da oltre 100 a 40 prefetture. Non è una misura un po’ in contrasto con la riforma del titolo V che vuole ridare più poteri allo Stato?
Al contrario. È un obiettivo che si concilia fortemente con il nuovo titolo V. La presenza dello Stato sul territorio deve essere razionalizzata utilizzando tutte le risorse che le nuove tecnologie dell’informazione hanno messo a disposizione. Si deve uscire da un’articolazione, quella delle prefetture, disegnata 200 anni fa.
Ci sarà anche un nuovo pacchetto di semplificazioni a giugno?
Sì. Ma questa volta le adotteremo con un metodo nuovo, vale a dire dopo aver concordato con Regioni ed Anci il percorso attuativo. I settori d’intervento saranno il fisco, l’edilizia e l’ambiente. Cercheremo in linea generale di introdurre il minor numero di misure possibili e di puntare su leggi autoapplicative. Se ci dovranno essere decreti attuativi, e auspico che siano pochi e davvero necessari, dovranno essere adottati in tempi certi.
Lei usa molto la logica del costo/opportunità per spiegare le misure annunciate. Vale anche per la nuova disciplina delle sospensive nei processi amministrativi?
Esatto. Dobbiamo avere l’udienza di merito su un ricorso entro 30 giorni in caso di sospensione cautelare negli appalti pubblici e, anche, la condanna alle spese nel giudizio quando il ricorso non viene accolto. È un classico caso di costo/opportunità: non si potranno più bloccare in automatico i lavori di un’opera pubblica. (Il Sole 24 Ore)
3 maggio 2014