«Un nuovo sistema contrattuale per aumentare la produttività». Taddei (Pd): per i rinnovi dei contratti pubblici faremo il possibile perché le risorse non siano solo una cifra simbolica
Il responsabile economico del Pd: «Sappiamo che i dipendenti pubblici aspettano un contratto da molto tempo. La situazione dei conti pubblici è complessa ma stiamo facendo il possibile perché le risorse per i rinnovi dei “pubblici” possano esserci e non siano una cifra simbolica».
Roberto Giovannini. Si parla da anni di un sistema contrattuale più vicino alla produzione e ai lavoratori. Le parti sociali hanno sempre detto di concordare con questo obiettivo. Diciamo loro: benissimo, ora trovate la soluzione. Siamo rispettosi della loro autonomia, e diamo loro un numero congruo di mesi sperando che questo accordo si raggiunga. Ma se non possono o non vogliono collettivamente assumersi questa responsabilità, il Paese deve andare avanti. La politica farà quello che deve».
Un passo indietro, Filippo Taddei, responsabile economico del Pd. Perché è importante, secondo voi, una riforma del sistema contrattuale?
«Noi puntiamo a ridurre al minimo la conflittualità sociale. Anzi, bisogna sfruttare la riforma della contrattazione per agganciare la ripresa e potenziarla. Ora sarebbe fondamentale avere un sistema negoziale ben funzionante, per distribuire profitti e redditi, per una nuova organizzazione del lavoro che trasformi e rilanci il sistema produttivo, ma concili la vita familiare delle persone con il loro lavoro».
Però in questo momento sindacati e imprenditori sembrano lontani.
«Ricordiamoci sempre che in una fase in cui si aprono diversi rinnovi di contratti nazionali una certa conflittualità è abbastanza normale. Pd e governo però hanno un obiettivo ambizioso: che cresca la produttività, unica garanzia dell’aumento del reddito dei lavoratori. Insomma, il rinnovo dei contratti nazionali va bene, ma quel conta è un sistema contrattuale che sostenga la produttività. Le parti sociali si prendano tutto il tempo necessario, ma un’occasione così ce l’abbiamo solo adesso, che l’economia non è più in recessione».
Ma l’atmosfera tra sindacati e Confindustria è brutta: scambi di accuse, polemiche negativa.
«Noi possiamo offrire alle parti sociali strumenti, potenziati, perché raggiungano un buon accordo, nel rispetto della loro autonomia. Ma ripeto, a un certo punto la politica farà quello che deve».
E che farete? Imporrete il salario minimo legale?
«Io credo che contratti nazionali in futuro si firmeranno. L’importante è che nella loro autonomia le parti sociali abbiano a disposizione anche la contrattazione decentrata, che integra e non cancella quella nazionale. Noi sosterremo la contrattazione di secondo livello con un mix di regole nuove e di incentivi fiscali. Incentivi più moderni, perché non si intervenga solo sul salario, ma anche sul welfare aziendale, sui servizi ai lavoratori e alle loro famiglie. Sarebbe un cambiamento culturale importante. Le parti sociali firmino i contratti che credono, nel modo e nel momento che più pare opportuno: noi daremo loro strumenti più efficaci. Uno certamente potrebbe essere l’introduzione del salario minimo legale. Circa il 15% dei lavoratori italiani non sono coperti dai contratti nazionali. Che vogliamo fare, li dimentichiamo come si è fatto per anni? Noi non li dimenticheremo, e risolveremo questo problema».
E vi dimenticherete di rinnovare i contratti pubblici, fermi da anni?
«Sappiamo che quei lavoratori aspettano un contratto da molto tempo. La situazione dei conti pubblici è complessa ma stiamo facendo il possibile perché le risorse per i rinnovi dei “pubblici” possano esserci e non siano una cifra simbolica».
La Stampa – 11 ottobre 2015