A piccoli passi l’attuazione delle grandi riforme degli ultimi tre governi va avanti e guadagna due punti percentuali, passando in due mesi dal 60,9 al 62,9 per cento. La pausa estiva non ha sicuramente giocato a favore, rallentando il lavoro dei tecnici dei ministeri.
Ora che i lavori – governativi e parlamentari – hanno ripreso a girare a pieno regime, la situazione che si presenta vede il pacchetto di interventi economici anti-crisi e per il rilancio del Paese varato dall’Esecutivo Monti sempre più vicino al traguardo: l’applicazione ha raggiunto l’82,3% (era dell’81,5% a inizio agosto). Le riforme adottate con Letta a Palazzo Chigi sono state tradotte in pratica per il 68% (due mesi fa il livello era al 66%), mentre le misure messe in campo da Renzi hanno guadagnato circa quattro punti percentuali, passando dal 34,7 al 38,4 per cento. C’è, però, da tener conto della partita aperta con le deleghe: da una parte Jobs act e Fisco hanno concluso la prima fase; dall’altra quella sulla Pa deve ancora muovere i primi passi.
Il bilancio
Il processo di smaltimento dei decreti necessari a rendere efficaci le riforme va avanti su due binari. Il primo è quello dei provvedimenti adottati: negli ultimi due mesi sono arrivati al traguardo altri 20 atti, portando la quota totale delle misure varate dagli ultimi tre governi a 672 regolamenti. L’altra leva – per quanto meno incisiva – è quella della decadenza di alcuni provvedimenti attuativi, che strada facendo hanno perso la ragione d’essere perché superati da nuove norme. Nonostante al pacchetto dell’attuale esecutivo si sia aggiunta la riforma della legge fallimentare, lo stock complessivo si è ridotto, scendendo da 1.071 a 1.069 atti. Il taglio riguarda soprattutto le riforme più datate, tant’è che quelle di Monti hanno “perso” quattro regolamenti e quelledi Letta uno.
Il taglia-decreti
Il fardello resta comunque pesante, ma ora potrebbe essere alleggerito di almeno un centinaio di provvedimenti grazie alla norma inserita nella riforma della pubblica amministrazione. La misura consente al Governo di liberarsi dei decreti attuativi che hanno perso senso. Entro l’autunno i ministeri dovranno completare il monitoraggio degli atti non più necessari, che saranno lasciati morire. Questo intervento viene rafforzato dagli effetti di un’altra norma sul silenzio-assenso, sempre contenuta nella delega Pa, che dovrebbe eliminare il collo di bottiglia rappresentato dal concerto tra ministeri, facendo in modo che il parere delle varie amministrazioni arrivi in tempi certi. In caso di ritardo, la decisione spetterà a Palazzo Chigi.
Il cantiere
C’è poi la volontà sempre dichiarata dal governo di varare riforme il più possibile autoapplicative. Al momento, secondo Palazzo Chigi, dei 120 provvedimenti adottati dall’attuale esecutivo e pubblicati in «Gazzetta Ufficiale», il 48% non richiede norme di secondo livello. La strada per ridimensionare il ricorso ai decreti attuativi è, dunque, ancora lunga. Tanto più che anche l’uso delle deleghe, a cui il governo Renzi ha affidato parte del progetto riformatore, richiede un lungo e complesso lavoro di attuazione: prima i decreti delegati e poi, ingenerando un effetto matrioska, i decreti ministeriali necessari a rendere efficaci i primi. E se per il Jobs act e la delega fiscale la prima fase è completata, per la legge Madia, approvata due mesi fa, il cantiere deve ancora partire nonostante il Governo avesse promesso i primi decreti delegati per settembre (si veda pagina 3). Sullo stock dei provvedimenti in attesa incombe, poi, l’ipoteca delle riforme ancora all’esame del Parlamento, dove arriverà a breve la legge di stabilità, con il suo prevedibile carico di regolamenti .
Da Jobs act e delega fiscale un carico di altri 128 decreti
L’attuazione dei decreti delegati. Per la Buona Scuola norme entro 15 mesi
Il cammino delle misure per lo sviluppo che il Governo Renzi ha deciso di affidare alle leggi delega non è meno tortuoso delle altre riforme. Le quattro deleghe che finora hanno tagliato il traguardo – Jobs act, Fisco, Pa e (in parte) scuola – richiedono complessivamente, per essere tradotte in pratica, 46 decreti delegati.
Ma non basta. Le prime due riforme, per le quali sono già stati varati i decreti delegati necessari (anche se nel caso della delega fiscale una parte è rimasta inattuata perché è scaduto il termine), hanno finito, con un effetto matrioska, per generare in tutto 128 provvedimenti. Infatti, gli otto Dlgs del Jobs act prevedono, a loro volta, 71 decreti ministeriali attuativi (si veda l’articolo a pagina 2), mentre le undici misure sul Fisco per diventare pienamente operative hanno bisogno di altri 57 atti, di cui 18 sono già stati adottati.
Un effetto che ci si potrà aspettare per l’applicazione della delega Pa e per quella sulla Buona scuola. Entrambe – nonostante il Governo avesse promesso che almeno per la pubblica amministrazione i primi decreti delegati sarebbero stati pronti a settembre – sono per il momento a quota zero. È pur vero che, tolta la scadenza ravvicinata del taglia-decreti inutili (il Dlgs deve essere pronto entro il 28 novembre), la prima deadline è fine febbraio prossimo, data entro la quale dovranno veder la luce le norme di semplificazione e quelle contro la corruzione. Per gli altri 15 decreti delegati le scadenze sono scaglionate, anche se la gran parte (13) dovranno arrivare entro fine agosto 2016.
Anche l’attuazione della Buona scuola si annuncia tutt’altro che facile. Sia per il numero di decreti legislativi attesi: nove in 15 mesi (tanti ne restano infatti fino alla scadenza dei 18 previsti dalla legge 107). Sia per la varietà e vastità dei temi affrontati. Molti dei quali attendono infatti da anni una riforma strutturale per superare i tanti limiti emersi nel frattempo.
Si pensi alla delega sull’accesso alla carriera di insegnante, che punta a semplificare il sistema di formazione iniziale e di ingresso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, oppure a quella sui servizi di infanzia 0-6, a cui sarà legata la stabilizzazione dei 23mila docenti esclusi dal maxi-piano di assunzioni previsto dalla Buona scuola.
Dei cinque tavoli di confronto convocati fin qui (uno per ogni tema), finora se ne sono svolti solo due: diritto allo studio e inclusione degli alunni con disabilità. A cui si aggiungerà dopodomani la prima riunione di quello su scuola dell’infanzia 0-6.
Eu. B. – Il Sole 24 Ore – 11 ottobre 2015