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Ma con il ricalcolo gli assegni si riducono fino al 30 per cento. Avviato con i sindacati il confronto sulle pensioni

Il sasso nello stagno gettato dal Fondo monetario sulle pensioni ha mandato su tutte le furie il mondo sindacale. L’idea rilanciata dal rapporto sull’Italia diffuso ieri dall’organizzazione di Washington è quella di introdurre un sistema flessibile per quanto riguarda l’età anagrafica, ma effettuando un ricalcolo di tutte le storie previdenziali riposizionandole tutte sul sistema contributivo. «Sarebbe un bagno di sangue», commenta Domenico Proietti, responsabile della previdenza per la Uil. Di fatto si uscirebbe dalle due alternative rigide oggi presenti nel sistema: la Fornero che è sempre in vigore e che porta l’età pensionabile a 67 anni e Quota 100 che è una sorta di “ambo secco” dove bisogna “centrare” 62 anni di età anagrafica e 38 di contributi.
La proposta della flessibilità, che cade proprio a pochi giorni dall’apertura del tavolo tra governo e sindacati per la riforma del sistema previdenziale, a prima vista potrebbe essere allettante: ciascuno va in pensione quando ritiene e quando ha necessità. Ma il prezzo che propone l’Fmi e che anche nel nostro Paese è stato oggetto di analisi e proposte, è troppo alto. Si andrebbe da un taglio dell’assegno pensionistico dal 15 al 30 per cento.
Per rendersi conto dell’entità del cosiddetto “ricalcolo” bisogna ricordare che nel nostro sistema ci sono diversi metodi di valutazione dell’entità dell’assegno. Chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 già calcola tutto con il contributivo, cioè la pensione è rapportata puramente agli anni lavorati, e il problema non si pone. Chi lavorava da 18 anni prima del 1995 invece ha mantenuto il retributivo, cioè calcola la pensione anche in base alla media degli stipendi, almeno fino al 2011. Poi ci sono i “misti”, che avevano meno di 18 anni di anzianità prima del 1995 e che hanno un metodo che prevede di considerare in parte il sistema retributivo e in parte il contributivo.
Con il “ricalcolo” tutte queste distinzioni verrebbero spazzate via: tutto verrebbe calcolato solo in base ai contributi versati con grosse perdite per i pensionandi rispetto al sistema attuale. Secondo uno studio della Uil-previdenza, ad esempio, un lavoratore che andrebbe a riposo a 62 anni, con 35 anni di contributi, con il sistema misto avrebbe un assegno di 12.726 euro. Con il cosiddetto “ricalcolo” contributivo perderebbe il 26 per cento dell’assegno, circa 3.300 euro.
Ma non sono solo i problemi di entità dell’assegno pensionistico a pesare sulla scelta del ricalcolo contributivo. Il lavoro sarebbe enorme perché ogni storia lavorativa costituisce un singolo caso, dunque bisognerebbe rintracciare tutti i contributi di ogni aspirante alla pensione considerando che non sempre è facile anche per l’Inps e che, ad esempio, per i lavoratori pubblici non esiste una banca dati perché in passato i ministeri gestivano in proprio le pensioni.
Il tema di fondo resta comunque la valutazione del peso della spesa previdenziale sul Pil in Italia. «L’Fmi sbaglia – ha detto ieri il segretario della Uil, Carmelo Barbagallo – noi continuiamo a sostenere che la spesa per pensioni in Italia è più bassa della spesa europea. E questo si vedrà quando separeremo l’assistenza dalla previdenza».
Sulla stessa lunghezza d’onda Cesare Damiano, Pd: «Quando si smetterà di calcolare la spesa al lordo e non al netto, dimenticando che i pensionati italiani restituiscono al fisco quasi 50 miliardi di euro all’anno, cosa che non capita negli altri Paesi europei, capiremo che l’incidenza sul Pil si abbassa dal 16 al 12 per cento».
REPUBBLICA

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