Matteo Renzi lo dice con il suo tono tra il leggero e il canzonatorio: «Bisogna tornare a zappare la terra, non ridete è una cosa seria: vi siete mai chiesti perché non c’è un reality sui contadini mentre se non guadi Masterchef ti giudicano male?». Le parole del premier, pronunciate all’apertura della campagna elettorale del Pd a Torino, sono la prova che l’agricoltura è entrata a pieno titolo tra le priorità di questo governo.
In questo settore ci sono da spendere 52 miliardi di fondi Ue da qui fino al 2020 e Renzi annuncia «che con la nuova programmazione le risorse finiranno direttamente a chi produce e non a corporazioni o caste di soliti noti». Tocca a Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura, spiegare che cosa cambierà: «L’Italia allargherà la black list europea dei soggetti che non potranno più ricevere i contributi».
Ministro Martina chi c’è in questa black list?
«L’Italia toglierà i contributi agricoli a banche, assicurazioni, società immobiliari ed enti pubblici. Si tratta di circa 3000 soggetti che rappresentano lo 0,2% della platea dei beneficiari ma che in questi anni hanno assorbito il 15% del sostegno all’agricoltura».
Soldi agricoli sono finiti a banche, assicurazioni ed immobiliari?
«Sì. Fino ad oggi era sufficiente essere proprietari di terreni agricoli e presentare domanda per ottenere i contributi. Parliamo di circa 500 milioni che adesso non finiranno più a banche, assicurazioni, società immobiliari ma direttamente a chi svolge l’impresa agricola. Si tratta di una scelta di equità e giustizia tanto più che le risorse a disposizione sono 5 miliardi di euro in meno di quelli messi a disposizione dalla vecchia programmazione. Ne ho parlato anche con le regioni giovedì scorso e dal nostro punto di vista è sacrosanto operare questa scelta».
Il premier ha annunciato che la nuova programmazione sarà pronta a metà maggio. Che cosa cambierà?
«L’allargamento della black list è la prima scelta strategica di un programma sul primo pilastro Pac che dovrà anche mettere a disposizione i fondi per interventi molto forti in diversi settori strategici.Dalla zootecnia alla presentazione di un piano proteico-vegetale che punti anche ad invertire la rotta sulla soia: adesso importiamo il 90 per cento del prodotto ed è tutta Ogm. Noi vogliamo investire sulla soia italiana Ogm free. Poi ci sarà anche un piano di sostegno sull’olivicoltura e azioni su altre filiere».
Dal mondo dell’agricoltura si alza forte la voce per una semplificazione delle procedure….
«Richiesta sacrosanta a cui proviamo a dare risposta anche all’interno delle 18 azioni lanciate nei giorni scorsi con l’iniziativa #Campolibero».
Ministro, perdoni, ma è da anni che si parla di iniziative per sburocratizzare il sistema. Perché questa dovrebbe essere al volta buona?
«Perchè siamo determinatissimi. Abbiamo chiesto a tutti un con tributo di idee e progetti. Sul sito del ministero c’è una call aperta dove si possono inviare suggerimenti e proposte. Al momento del lancio su Twitter l’hashtag #campolibero è stato il quarto argomento più twittato in Italia, cosa rara per una materia agricola».
Va bene Twitter ma le proposte dei cittadini o degli agricoltori che fine faranno?
«Sto ascoltando gli operatori. Inoltre per presentare suggerimenti, idee e progetti c’è tempo fino al 30 aprile.Da maggio quelle azioni arricchite dai cittadini diventeranno provvedimenti concreti. Vogliamo partire, ad esempio, dalla creazione del registro unico dei controlli e dall’allargamento dello strumento della diffida prima dell’invio della sanzione amministrativa. Tutte azioni utili per semplificare la vita delle imprese».
La Stampa – 13 aprile 2014
Martina: «L’agricoltura? Può creare 150 mila posti. Ma 19 giorni in dogana per chi esporta sono troppi»
ROMA — «Le conosce le mele del Trentino?». Sì, perché? «Quello è uno dei nostri modelli. Il prodotto è di qualità e arriva da piccole imprese familiari. Le aziende sono rimaste lì e sono rimaste piccole, ma hanno deciso di non restare invisibili. Si sono aggregate in reti e consorzi, insieme vanno in giro per il mondo e fanno un miliardo di euro l’anno. I piedi qui, nella terra, la testa nel mondo». Il ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina dice che, seguendo anche il modello delle mele del Trentino, «l’Italia nei prossimi cinque anni può aumentare del 50% le esportazioni del settore agroalimentare» e che «può far nascere 50 mila nuove imprese con 100-150 mila nuovi posti di lavoro».
Ministro, messa così sembra un miracolo. Al momento la realtà è ben diversa: nell’export agroalimentare siamo dietro anche alla Germania, che pure nel settore non ha certo il nostro nome. Perché il miracolo dovrebbe arrivare?
«Perché i nostri prodotti hanno un potenziale incredibile e abbiamo mercati enormi e ancora inesplorati, a partire dalla Cina».
A differenza dei nostri concorrenti, l’Italia non ha grandi catene di distribuzione. I mall francesi all’estero vendono prima di tutto prodotti francesi. Non crederà mica di convincerli a vendere il Parmigiano Reggiano invece del Camembert?
«Guardi questa foto». Il ministro tira fuori l’Ipad. L’immagine viene da un ipermercato di una catena francese in Cina. C’è un grande bancone di vini, salumi, formaggi sotto la bandiera francese. Dall’altra parte un piccolo stand con i prodotti di tutti gli altri Paesi, Italia compresa. «È vero, gli altri sono più agguerriti. Noi abbiamo solo Eataly, che gioca in Champions League, ma bisogna darsi da fare in qualsiasi categoria. Anche per questo le aziende italiane si devono aggregare. E sempre per questo vogliamo lavorare a una serie di incentivi».
Non starà mica chiedendo al singolo contadino di vendere direttamente dall’altra parte del mondo?
«Non al singolo ma a chi si mette insieme sì. Naturalmente poi deve essere il Paese intero ad aiutarli. Semplificando la burocrazia, supportando l’internazionalizzazione e sostenendo iniziative come il marchio unico del made in Italy agroalimentare».
Se ne parla da anni, senza risultati.
«Dobbiamo avere il coraggio di sperimentare anche su questo tema. Si può pensare a un cosiddetto marchio ombrello, privato e volontario, che si aggiunga ma non sostituisca quelli esistenti. Nei nuovi mercati il nome Italia lo conoscono benissimo e su quello dobbiamo puntare».
Basta questo?
«Certo che no. Dovremo lavorare seriamente sui nuovi accordi commerciali che l’Europa deve trattare: penso agli Stati Uniti, Giappone e India. Per dire, lo sa che negli ultimi due anni l’India ha alzato del 19% i dazi sui prodotti alimentari?».
Lo Stato deve aiutare l’export ma la vendita diretta sembra un suo pallino. Nel suo programma #campolibero c’è la semplificazione delle procedure per i mercati a chilometro zero, quelli dal produttore al consumatore.
«Il nostro obiettivo è raddoppiare il volume di vendita nei prossimi tre anni. Nel suo mestiere il contadino deve poter pigiare più tasti: produce, vende e poi si organizza sui mercati internazionali».
Saranno contenti i negozianti. Non è che creare nuovi posti di lavoro nell’agricoltura significa distruggerne altrettanti nel commercio?
«I veri problemi del commercio sono altri. Mettiamo che lei compri 100 euro di frutta e verdura al supermercato. Sa quanti ne vanno al contadino che li ha prodotti? Neanche due euro, 1,6 per la precisione. Tra produttore e consumatore ci sono troppi passaggi».
Resta il fatto che in altri Paesi l’agricoltura rende meglio che da noi .
«Ci sono costi esterni non sempre giustificati che si mangiano il 35% del valore prodotto. L’energia, le carenza di infrastrutture, la burocrazia. Oggi un prodotto italiano destinato all’export si ferma alla dogana in media per 19 giorni. In Francia sono 9, in Germania 7, negli Stati Uniti addirittura 6. La lotta violenta alla burocrazia di cui parla Matteo Renzi riguarda anche noi. Perché vogliamo portarci tanti giovani».
Li sta invitando a tornare alla terra?
«Sì e non è solo uno slogan. A differenza di altri settori, qui le prospettive ci sono. E grazie all’Europa, per il periodo 2014-2020, avremo 75 milioni di euro proprio per favorire l’imprenditoria giovanile nel settore. Oggi la metà dei titolari di azienda ha più di 60 anni, gli under 40 sono appena il 10%. Ai giovani viene più facile avere i piedi qui e la testa nel mondo».
Lorenzo Salvia – Corriere della Sera – 14 aprile 2014