Per ora è una questione in mano ai tecnici. Alle prese su come intervenire sulle cosiddette “pensioni d’oro”, dopo lo stop della Corte costituzionale al contributo di solidarietà. Escluso un intervento finalizzato all’abbattimento del deficit.
«Non credo sia una buona idea», sottolinea Enrico Giovannini. Due sono le strade su cui il governo sta ragionando per arrivare a una misura che il ministro auspica di carattere «redistributivo». Non solo sulle pensioni (per alzare gli assegni più bassi). Ma anche per avere risorse da riversare sull’assistenza e, più in generale, sull’intero sistema del welfare.
La prima opzione al vaglio del ministero del Lavoro, entra nei dettagli il sottosegretario Carlo Dell’Aringa, è rendere strutturale il blocco delle perequazioni delle pensioni più alte (già ora temporaneamente non sono indicizzate al costo della vita). Si tratta di un intervento di emergenza che potrebbe essere reso strutturale per le pensioni più alte, progressivamente, per arrivare fino agli assegni altissimi che potrebbero rimanere fermi in termini nominali e non più aumentati. «Una misura minimale – dice Dell’Aringa – ma che nel medio periodo produce comunque effetti notevoli».
L’altra strada – oggetto di uguale approfondimento – è il fondo alimentato pure da un contributo a carico delle prestazioni più elevate (per innalzare gli assegni più bassi) proposto sul Sole 24 Ore dall’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato che insieme a Mauro Marè, propone da tempo, una correzione del sistema previdenziale contributivo. «Per incidere sull’ammontare attuale serve un contributo di solidarietà che non venga bocciato dalla Corte Costituzionale come tassa», spiega il sottosegretario. Serve dunque un meccanismo di carattere perequativo per togliere a chi ha di più e dare a chi ha di meno: «Stiamo lavorando – spiega Dell’Aringa – per verificare la differenza nelle pensioni alte tra quanto percepito sulla base del più favorevole sistema retributivo e quella che sarebbe stata se si fosse applicato il contributivo: si può ridurre la pensione di una parte di quella differenza e utilizzare il gettito per alimentare le pensioni più basse».
Altro dossier aperto al ministero del lavoro è la questione esodati, con l’obiettivo di arrivare, a settembre, a una soluzione definitiva, salvaguardando altre 20mila-30mila persone. Le prime tre salvaguardie rispettivamente di 65mila, 55mila e 10.130 soggetti, per un totale quindi di 130.130 tutelati, hanno avuto un costo, spalmato su più anni, di 9 miliardi. Tuttavia, evidenzia Dell’Aringa, molti di questi soggetti attualmente stanno fruendo degli ammortizzatori sociali. Altri invece hanno preferito continuare a lavorare. Si stanno ancora facendo i calcoli; ma diverse migliaia di questi 130mila esodati non hanno beneficiato dell’aiuto: «È come se si fossero liberati dei posti lasciando spazio e risorse a una platea di lavoratori che si trovano in condizioni non molto diverse». Per questo, aggiunge il sottosegretario, «si potrebbero salvaguardare 10mila-15mila nuovi esodati senza aggravi per il bilancio pubblico, grazie cioè a un travaso di fondi non utilizzati».
Viene poi definita «una opzione» la possibilità di riaprire il cantiere pensioni (la legge MontiFornero) con l’introduzione di maggiore flessibilità sulle uscite su base volontaria: «Una misura da valutare con attenzione», spiega Dell’Aringa. Prima di tutto per i costi che potrebbero arrivare «a più di una decina di miliardi di euro». Ma anche perché le penalizzazioni per chi va in pensione prima «non possono certo essere ecessive. Altrimenti si avrebbe una libertà di scelta per modo di dire».
Il Sole 24 Ore – 22 agosto 2013