Come tre anni fa. Straripano i fiumi e in Veneto torna l’incubo alluvione. La situazione più critica nel Padovano: centinaia di sfollati nella Bassa e un’anziana di 87 anni morta a Montegrotto, dopo essere scivolata sulle scale dell’abitazione allagata. Nel Veronese problemi nella Bassa con famiglie evacuate a Terrazzo. E il governatore Zaia firma lo stato di calamità naturale. Nel Padovano i disagi maggiori: 600 sfollati tra Bovolenta, Montegrotto e Battaglia Allagamenti a Vicenza, ma il Retrone non tracima. Decine di famiglie sfollate a Chioggia ma i residenti non vogliono lasciare le case. Trevigiano, occhi puntati sui fiumi. Il Genio civile blocca le pompe per prevenire altre piene. Fango anche negli alberghi, scuole chiuse
Lo spettro è quello dell’ottobre 2010, con mezzo Veneto finito sott’acqua. Ma c’è anche chi ricorda le vertigini del 1966, l’anno della disastrosa alluvione. «Il livello è lo stesso: sette metri e 98 sul medio mare, cinque sopra il livello di guardia. Non voglio pensare a cosa succederà se non smette di piovere», scuote la testa Vittorio Meneghello, sindaco di Bovolenta, il paese della Bassa Padovana che sta vivendo ore drammatiche con gli occhi puntati sulle acque scure, gonfie e minacciose del Bacchiglione, diventato il nuovo mostro dei suoi tremila compaesani. Bovolenta è un po’ il termometro del rischio idrogeologico in Veneto. Quando l’acqua tocca la “quota murazzi alti”, cioè la parte superiore dell’argine, significa che la Regione è zuppa, i canali esondano e la gente sfolla. Trecentoquaranta evacuati a Bovolenta, 200 nella vicina Battaglia Terme, quaranta a Chioggia; e poi le campagne allagate del Trevigiano dove a spaventare è il Livenza e su in montagna, con cumuli di neve che nell’Agordino hanno superato i sei metri di altezza e con paesi come Arabba semisepolti dalla coltre bianca. A Montegrotto Terme, sempre nel Padovano, un quartiere è finito sott’acqua. E il vulcanico sindaco, Massimo Bordin, ha lanciato il suo allarme: «Ho centinaia di famiglie in difficoltà. Una signora anziana è morta scivolando in casa (il marito dice però che non c’era acqua nelle stanze, ndr ). Un’altra non vuole più uscire dalla camera. Io chiedo interventi e nessuno arriva…». Il governatore Luca Zaia non ci ha pensato due volte: «Danni inimmaginabili e incalcolabili: chiedo lo stato di calamità a causa del maltempo e faccio un appello ai media nazionali: si rendano conto che l’acqua non c’è solo a Fiumicino».
Si tratta di una richiesta quasi preventiva (intanto è già stato stanziato un milione di euro), dovuta al fatto che si stanno battendo record su record di precipitazioni, di neve, di pioggia e di piene, superiori in molte zone ai livelli del 2010. Sono esondati molti canali secondari, come a Battaglia, ma i fiumi hanno tenuto. Come a Vicenza, la città più colpita dall’alluvione di quattro anni fa, dove sempre il Bacchiglione è passato facendo paura ma senza tracimare. E come nella stessa Bovolenta, con argini di terra e murazzi che ieri sembravano scolapasta dove l’acqua filtrava a rivoli verso piazza Accademia senza però mai rompere la barriera. «Certo — sospirava il sindaco — ma quanto possono reggere ancora?». E ricorda che il paese è un catino a rischio, che l’ultima volta sono stati quaranta i capannoni industriali sommersi da due metri d’acqua per sei giorni, che 58 famiglie hanno dovuto lasciare le case. «Avevamo chiesto 12 milioni per ripartire, ce ne hanno dati sei. Ma qui ci vogliono laminazioni a monte e canali scolmatori a valle. La malattia è seria e noi abbiamo usato solo cerotti».
Nel frattempo altri cerotti sono saltati in giro per il Veneto e il territorio deve fare anche i conti con previsioni del tempo poco incoraggianti. Danno pioggia e neve ancora per giorni. «In più — ha rimarcato Zaia — c’è il problema delle temperature, alte in modo anomalo per il periodo. In montagna si sciolgono le nevi e i torrenti scendono carichi d’acqua».
È scattata la solidarietà fra Comuni. Polverara sta aiutando Bovolenta, ospitando nella casa delle associazioni gli sfollati. La zona evacuata è quella centrale. Ci sono il municipio, la chiesa, la caserma e la scuola. «Noi abbiamo portato tutto ai piani superiori», ha precisato il comandante dell’Arma annunciando un servizio notturno antisciacallaggio. Perché Bovolenta è ora deserta e silenziosa. Fra le mura inanimate resiste solo lui, don Luciano, il parroco: «Ho avuto l’ordinanza di evacuazione ma voglio rimanere perché credo che questa volta il murazzo ce la farà». Il sindaco lo guarda e tace. Andrea Pasqualetto
Quei nove bacini mai realizzati La sicurezza affidata agli sms
Cifre da applauso. Per il solo Bacchiglione, che un anno sì e l’altro pure manda nel panico il centro di Vicenza (se va bene) e sotto l’acqua case e campagne di paesi vicini e lontani, i dossier della Regione guidata dal governatore leghista Luca Zaia mettono nero su bianco la seguente risorsa: 972.474.000 euro. Quasi un miliardo. Che diventano addirittura due se si allarga lo sguardo agli interventi destinati alla sicurezza dei corsi d’acqua in tutto il Veneto. Solo sulla carta, però. Perché in realtà, vuoi per la crisi, vuoi per i legacci del patto di Stabilità, vuoi perché spesso le priorità sono a dir poco elastiche o perché ci si mette la palude della burocrazia, alla fine di tutto questo ben di Dio solo una parte arriva sul territorio. Sarebbe ingiusto dire che nulla è stato fatto tra il 2010 — quando acqua e fango misero in ginocchio 500 mila persone, provocando 3 morti, due miliardi di danni, 3500 aziende in tilt e 6 mila sfollati — e ciò che sta avvenendo in queste ore. «Sul Bacchiglione — spiega l’assessore regionale all’Ambiente, il leghista Maurizio Conte — sono stati effettuati importanti lavori di manutenzione, rinforzo e innalzamento degli argini». Non a caso, «la piena di queste ore, in certi punti superiore a quella di 4 anni fa, non ha causato gli stessi danni». Detto ciò, l’assessore è il primo a riconoscere che di interventi strutturali, capaci cioè di incidere in maniera definitiva sulla tutela dell’ambiente, non ne sono stati fatti. Progettati, certo. In alcuni casi anche parzialmente finanziati, ma ancora nulla di operativo.
Ognuno ha i suoi miraggi. Quelli dei vicentini, ma anche di buona parte degli abitanti del Veneto, si chiamano bacini di laminazione o casse d’espansione: opere idrauliche in grado di ridurre la portata di un corso d’acqua durante le piene. A Vicenza lo sanno anche i sassi: il benedetto giorno che verrà inaugurato l’invaso di Caldogno la città sarà praticamente al sicuro dalle acque del Bacchiglione. Se ne parlava nel 2010, quando le botteghe del centro storico parevano piscine e 2000 auto andarono distrutte. Se ne parla da almeno 20 anni. E ora? «Entro due anni, nell’ottobre 2015, il bacino di Caldogno sarà operativo e sarà il primo dopo almeno 80 anni…». Costo: 46 milioni. Un’altra cassa d’espansione, a Trissino (per una spesa di 26 milioni), sarà funzionante nel dicembre 2015. Per gli altri si prospettano tempi, se non biblici, quasi. Di tre bacini progettati nel Veronese e nel Trevigiano vi è un parziale finanziamento. Per altri 4 siamo ancora alla progettazione. Il piatto piange. Anche ieri il governatore Zaia ha chiesto al governo «un piano nazionale declinato per Regioni»: che nel caso del Veneto equivale a quei 2 miliardi di euro che consentirebbero di passare dalle parole ai fatti. Ma prima bisogna vincere con Roma la battaglia sui limiti del patto di Stabilità: auguri.
Intanto Vicenza e il suo sindaco Achille Variati hanno ieri constatato che gli interventi di manutenzione realizzati in questi 3 anni a qualcosa sono serviti: «Vaste zone che in passato hanno subito allagamenti, stavolta sono state risparmiate». Detto brutalmente, le pezze hanno tenuto. Meglio di niente. Qualche esempio: se nel 2010 le acque del Bacchiglione provocavano allagamenti una volta arrivate a quota 4 metri e mezzo, adesso, alzati gli argini, la soglia di rischio è oltre i 6 metri. Così come importante è il sistema di valvole che, in caso di piena, isola le fognature evitando che il fiume le faccia saltare. In tre anni sono stati spesi sui 30 milioni. Ma è soprattutto l’arte della prevenzione che i vicentini hanno affinato. L’annuncio della piena viene diramato via sms a migliaia di cittadini. Poi parte l’ululato delle sirene. Uno staff di meteorologi si installa in Comune, mentre i pluviometri misurano la quantità di pioggia e gli idrometri il livello dei fiumi. «Se non altro, il Bacchiglione non ci prenderà più di sorpresa…». Come nel 2010. Francesco Alberti
Tre metri sui tetti e crolli nei rifugi, a Cortina stagione in pericolo
CORTINA D’AMPEZZO (Belluno) — Da sei giorni le scuole sono chiuse a Cortina. La nevicata sta creando grandi difficoltà dovute soprattutto al peso della neve accumulata sui tetti degli edifici e all’urgenza di alleggerirli. In alcuni casi si sfiorano i 3 metri. Il magazzino dell’Istituto d’arte, nel quale venivano conservati i lavori eseguiti nella scuola, è crollato. Dopo che un fienile era già venuto giù nella frazione di Zuel. E continua a nevicare, a Cortina e nelle zone limitrofe. Ieri altri 35 centimetri. Da una settimana il cielo non si apre. Gli operai del Comune lavorano giorno e notte: «Sono stanchissimi — dice il vicesindaco Enrico Pompanin — ma la loro opera procede indefessa. Un vero esempio di merito e impegno civile».
Tantissimi gli uomini sul campo. Le squadre del Soccorso alpino, della Guardia di Finanza e degli Alpieri (alpini rocciatori) sono impegnati nello sgombero dei tetti delle scuole, una priorità negli interventi. Ma all’opera ci sono anche i Vigili del fuoco, l’Esercito, il Corpo forestale dello Stato e molti privati ingaggiati. Sono almeno 140 gli uomini del soccorso alpino che si sono messi a disposizione dei sindaci. Oltre alle squadre del territorio bellunese, anche quelle del resto del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, del Friuli-Venezia Giulia, del Trentino-Alto Adige e dell’Emilia-Romagna. Nuove forze arriveranno nelle prossime ore, per dare il cambio a chi ha operato ininterrottamente. Perché se a Cortina la situazione non è per nulla facile, non va meglio anche in molti altri Comuni del Cadore e dell’Agordino. Tra i tanti casi di intervento e aiuto quello a Livinallongo del Col di Lana, nella piccola frazione di Sottinghiazza, alla signora Nina, unica abitante, rimasta isolata e senza medicinali e corrente. È stata trasferita al sicuro nel centro abitato.
Resta sempre elevatissimo il rischio valanghe (5), soprattutto dopo che un distacco di neve domenica scorsa ha praticamente distrutto un impianto di risalita sulla Marmolada e devastato il rifugio Tabià Palazza. Tra impianti chiusi e disagi, i danni sono ingenti anche per tutto il settore turistico. Massimo Spampani
5 febbraio 2014