Gli ultimi nodi sono stati sciolti ieri sera in un incontro tra Matteo Renzi e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Il decreto taglia-Irpef, nella sua forma finale, sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale tra oggi e domani. Molto dipenderà da quanto tempo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si prenderà per apporre in calce la sua firma. Ma non ci vorrà probabilmente molto tempo. Anche la temuta «bollinatura» da parte della Ragioneria Generale dello Stato ieri sera è arrivata. In fin dei conti i tecnici di Via XX Settembre hanno seguito passo passo l’iter del provvedimento e, come peraltro capita spesso, lo hanno riempito di «clausole di salvaguardia». Se la spending review targata Renzi non dovesse dare i frutti sperati si partirà con i tagli lineari ai budget di Comuni, Regioni, Province e ministeri.
TEMPI STRETTI
E proprio per quanto riguarda questi ultimi nelle bozze finali del provvedimento è emersa una novità. Oltre ai 700 mililioni di euro di risparmi alla voce «acquisti», le strutture ministeriali dovranno garantire altri 200 milioni di euro di risparmi. I singoli componenti del governo avranno al massimo sessanta giorni per indicare dove caleranno le forbici, poi interverrà direttamente Palazzo Chigi. Intanto i 200 milioni saranno congelati nei bilanci dei singoli ministri che, dunque, non potranno spendere questi soldi. Ma in che modo potranno recuperare le risorse che il decreto impone di risparmiare?
LA SORPRESA
Lo stesso decreto dà un’indicazione, non a caso l’articolo che impone i tagli è intitolato «riorganizzazione dei ministeri». E a tal fine uno dei commi prevede che per ottenere risparmi di spesa, i singoli ministeri dovranno entro il prossimo 30 giungo adottare dei regolamenti di organizzazione che entreranno in vigore con un decreto del presidente del Consiglio su proposta del ministro competente e con il concerto del ministero della Pubblica amministrazione e di quello dell’Economia. Su questi decreti Renzi potrà (ma non necessariamente dovrà) chiedere un parere al Consiglio di Stato. Il provvedimento, in pratica, si aggancia ai precedenti tentativi di ridurre la spesa della macchina centrale dello Stato portati avanti prima dall’allora ministro della funzione pubblica Renato Brunetta, che aveva imposto che ogni cinque dirigenti mandati a casa si sarebbe potuto avere una sola sostituzione. Inoltre, alla spending review del governo Monti che aveva puntato ad una riduzione del 20 per cento degli organici dirigenziali dei ministeri proprio attraverso i regolamenti di riorganizzazione. Quello di Renzi, insomma, sembrerebbe il tentativo di riprendere in mano la questione mettendo sul tavolo la pistola dei 200 milioni di euro di risparmi da ottenere per non far scattare i tagli lineari. «Noi vigileremo attentamente su quello che succederà e su come il governo ha intenzione di raggiungere questi obiettivi», dice Stefano Biasioli, presidente della Confedir, la confederazione sindacale che raggruppa il maggior numero di dirigenti della Pubblica amministrazione. Il timore del sindacato è che si vogliano «attuare i tagli Cottarelli», in pratica aprire un primo varco alla riforma della Pubblica amministrazione che dovrebbe portare alla «staffetta generazionale» con l’uscita dal settore di ben 85 mila statali.
I PROSSIMI PASSI
Proprio oggi Renzi incontrerà il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, per fare un primo punto sulla riforma. Nel cronoprogramma del premier, del resto, quello con gli statali è il prossimo appuntamento dopo il bonus Irpef di 80 euro. Una riforma che si preannuncia ad alto tasso di «sensibilità politica», come dimostra anche l’uscita dal decreto della norma che imponeva dei tetti agli stipendi anche ai dirigenti che guadagnano meno di 240 mila euro. Un tema che tuttavia sarà quasi sicuramente ripreso nel nuovo provvedimento al quale sta lavorando il ministero della Pubblica amministrazione.
Andrea Bassi – Il Messaggero – 23 aprile 2014