In pensione sempre più tardi e con assegni pubblici sempre più bassi: queste le tendenze che si sono affermate a partire dalle riforme previdenziali dei primi anni ’90. Se per l’età della pensione non si può fare molto, per quanto riguarda l’entità di denaro di cui disporre una volta ritirati dal lavoro forse si può incidere maggiormente.
L’Osservatorio sul Nordest, curato da Demos per Il Gazzettino, indaga oggi intorno alla percezione sociale della necessità futura di una pensione integrativa. Circa il 15% la ritiene una scelta obbligata, mentre il 61% la vede come uno strumento utile. Quanti la giudicano poco utile sono il 13% contro l’8% di chi esprime il giudizio più negativo (per niente utile).
La pensione integrativa è lo strumento che dovrebbe consentire ai lavoratori di arricchire l’assegno pubblico che verrà loro elargito una volta che potranno ritirarsi dal lavoro. Va costruita nel tempo, attraverso investimenti in fondi appositamente creati. Intorno a questi, però, sembra esserci una certa ritrosia dei cittadini, che vi fanno ricorso con molta cautela e diversi dubbi. Eppure, per il futuro, queste integrazioni private sembrano essere necessarie per mantenere un livello di vita accettabile dato che le pensioni pubbliche saranno sempre meno remunerative. L’attuale crisi, però, mette a dura prova la capacità di risparmio da investire in questa forma di previdenza.
Così, è solo il 15% a giudicare la pensione integrativa una scelta obbligata: rispetto al 2005, la crescita è di circa 4 punti percentuali. La maggioranza relativa (61%) la considera utile, e la quota è in calo di 7 punti percentuali in quasi 10 anni. Poco più di un nordestino su cinque ritiene la scelta di investire privatamente per il proprio futuro previdenziale poco (13%) o per niente (8%) utile, e questo settore mostra una crescita complessiva di 5 punti percentuali rispetto al 2005. La cultura della pensione integrativa privata, dunque, sembra tutt’altro che sedimentata presso l’opinione pubblica dell’area. Fermo restando che il giudizio di utilità riguarda la maggioranza assoluta di (quasi) tutti i settori considerati, vediamo più nello specifico come si caratterizza l’atteggiamento dei settori sociali.
Se consideriamo le diverse età, possiamo vedere che è soprattutto tra gli adulti (45-64 anni) che aumenta la quota di coloro che ritengono la previdenza integrativa obbligata, mentre i più giovani (15-24 anni) si orientanto in misura maggiore all’utilità. Le riserve si fanno più ampie tra gli anziani over-65 e tra coloro che hanno tra i 25 e i 34 anni. D’altra parte, proprio i giovani – che più di altri dovrebbero investire in strumenti come questi- oggi lavorano soprattutto con contratti precari e poco remunerati, e ciò rende complicato, quando non impossibile, immaginare un ulteriore risparmio da destinare alla previdenza futura privata. Guardando alle professioni, poi, emergono ulteriori elementi interessanti.
Coerentemente con quanto osservato prima, è tra gli studenti che la quota di giudizi di utilità si consolida, mentre sono impiegati e disoccupati a veder aumentare in modo consistente i giudizi più negativi. Tra gli operai, invece, la quota di quanti considerano la previdenza integrativa necessaria sale maggiormente. In parte curiosa la posizione di imprenditori e lavoratori autonomi: tra di loro è superiore alla media dell’area sia la quota di persone che ritengono questa scelta obbligata, sia quella di chi la ritiene poco o per niente utile. Riflesso ancora vivo, forse, della batosta già ricevuta in questo campo soprattutto da artigiani e commercianti negli anni 60.
Il Gazzettino – 17 giugno 2014