Dal 20 al 24 aprile, a New York, si è svolta la nona tornata negoziale tra Stati Uniti e Unione europea sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il Trattato commerciale di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea in discussione dal luglio 2013. Proprio nel mezzo delle trattative, da Bruxelles hanno fatto irruzione gli ogm che, secondo quanto affermato dalla Commissione Ue, non avrebbero dovuto far parte delle materie oggetto del TTIP . Il problema è invece stato l’occasione per una dura presa di posizione da parte degli Stati Uniti. La Commissione Ue ha presentato una proposta di regolamento, che consente agli Stati membri di limitare o proibire nei rispettivi territori l’uso di ogm negli alimenti o nei mangimi autorizzati, così come accade per le coltivazioni, in base alla recente direttiva 2015/412. Il rappresentante Usa per il commercio, Michael Froman, ha subito espresso forte disappunto, affermando che la proposta di regolamento “appare difficilmente compatibile con gli obblighi internazionali dell’Ue”.
Questo perchè la circolazione di alcuni prodotti verrebbe divisa in 28 mercati separati. Secondo Froman, “nel momento in cui Usa e Ue stanno lavorando per creare ulteriori opportunità di crescita e di posti di lavoro attraverso il TTIP, proporre questo tipo di azione restrittiva del commercio non è costruttivo”. Nella conferenza stampa che ha concluso il nono round di trattative sul TTIP, il capo negoziatore europeo, Ignacio Garcia-Bercero, ha replicato che la proposta di nuovo regolamento “è pienamente coerente con i nostri obblighi internazionali”, sottolineando come poche ore prima la Commissione Ue avesse autorizzato 19 ogm che erano in lista d’attesa. Infatti, due giorni dopo la Commissione ha dato parere positivo alla commercializzazione di dieci nuovi ogm negli alimenti e nei mangimi, rinnovando l’autorizzazione per altri sette. Sono stati autorizzati anche due OGM nei fiori recisi.
La doppia mossa della Commissione Uesembra aver scontentato tutti, sia i pro che gli anti ogm. Greenpeace parla di posizione pilatesca e di dietrofront, ricordando che tra le dieci priorità del mandato da presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ha fissato quella di rendere “più democratica” l’Unione Europea, impegnandosi a “modificare le leggi che obbligano la Commissione ad autorizzare ogm anche quando la maggioranza dei governi nazionali è contraria”. Ora, afferma Greenpeace, invece di cambiare le procedure autorizzative, la proposta della Commissione europea prevede il “permesso” agli Stati membri di decidere autonomamente se vietare le importazioni di determinati ogm nei loro territori. Il problema è che, senza basi legali solide per i Paesi membri questa è una scelta suicida.
Il sospetto di Greenpeace è che la pressione delle lobby ogm “pro-TTIP” stia dando i suoi frutti e che la Commissione stia offrendo di proposito una falsa libertà di scelta, che non reggerà in nessun tribunale. Le regole del libero mercato nell’Unione europea prevarrebbero sempre sulle scelte dei singoli Stati, in particolar modo se ai governi sarà negata la possibilità di giustificare i divieti adottati a livello nazionale con ragioni di carattere ambientale o sanitario. La stessa Commissione Ue dice che “le misure adottate dagli Stati membri dovranno essere coerenti con il diritto dell’Unione e con gli obblighi internazionali dell’Ue, di cui sono parte integrante gli obblighi dell’Ue nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio”. Le eventuali misure di divieto non potranno “essere giustificate da motivazioni in conflitto con la valutazione del rischio effettuata dall’Efsa”, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ma dovranno “fondarsi su considerazioni di natura diversa”. Questa spiegazione non è stata sufficiente a rassicurare il fronte dei favorevoli agli ogm, le cui ragioni sono state esplicitate in un duro editoriale del Financial Times, che ha definito la proposta della Commissione europea “miope, anti-scientifica e, probabilmente, in violazione delle norme Ue”. Una proposta che “rafforza la reputazione dell’Unione europea come interlocutore inaffidabile nei negoziati commerciali internazionali”.
La procedura di autorizzazione degli ogm,sia per la coltivazione che per l’alimentazione umana e animale, prevede che vi sia una valutazione del rischio da parte dell’Efsa. Se i risultati della valutazione del rischio dimostrano che il prodotto non presenta un rischio per la salute o per l’ambiente, la Commissione presenta agli Stati membri un progetto di decisione, che richiede una maggioranza qualificata. Se gli Stati votano a favore, la Commissione adotta la proposta di decisione. Se il voto è contrario o se il risultato della votazione è “Nessun parere” (cioè se non viene espressa una maggioranza qualificata a favore o contraria alla proposta), la Commissione può sottoporre la proposta di decisione a un altro organismo rappresentativo degli Stati a un livello superiore: il comitato di appello. Anche in questo caso, se gli Stati membri votano a favore, la Commissione adotta la proposta di decisione; in caso di voto contrario la Commissione non può adottare il progetto. Se il risultato della votazione è “Nessun parere”, spiega la Commissione, “il quadro giuridico in materia di ogm e la Carta dei diritti fondamentali impongono alla Commissione di adottare una decisione in merito a una domanda di autorizzazione; per questo motivo, in pratica la Commissione non ha altra scelta che rilasciare l’autorizzazione”.
Sinora, i risultati delle votazioni in seno al comitato permanente e al comitato d’appello sono sempre stati “Nessun parere”, indipendentemente dal fatto che le autorizzazioni venissero richieste per ogm destinati alla coltivazione o per alimenti e mangimi geneticamente modificati. Quindi, alla fine della procedura, la decisione finale in merito alle autorizzazioni è stata sempre lasciata alla Commissione, secondo cui “una situazione simile, in cui sistematicamente non viene espresso alcun parere, è unica rispetto alle migliaia di decisioni di esecuzione adottate ogni anno mediante la procedura di comitato, in cui gli Stati membri generalmente sostengono la proposta di decisione della Commissione in seno al comitato permanente”.
Le ultime autorizzazioni rilasciate dalla Commissione – riguardanti alcune varietà di mais, soia, colza e cotone – si aggiungono alle 58 già esistenti per alimenti e mangimi geneticamente modificati. La Commissione afferma che “il numero di prodotti alimentari geneticamente modificati effettivamente disponibili sul mercato è limitato; ciò può essere dovuto alle prescrizioni in materia di etichettatura di questi alimenti e alla disponibilità di alternative convenzionali. La situazione è diversa per quanto riguarda il settore dei mangimi dove più del 60% del fabbisogno dell’Ue di proteine vegetali per i bovini è composto da soia e farina di soia proveniente da paesi terzi nei quali si usano coltivazioni ogm”. Nel 2013, il 43,8% proveniva dal Brasile (in cui l’89% della soia coltivata era gm), il 22,4% dall’Argentina (dove il 100% della soia era gm), il 15,9% dagli Stati Uniti (in cui il 93% della soia coltivata era gm), e il 7,3% dal Paraguay (in cui il 95% della soia coltivata era gm). Va ricordato che la legislazione europea, a differenza di quella degli Stati Uniti, impone l’etichettatura per tutti gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati tranne nei casi in cui la loro presenza sia inferiore allo 0,9% dell’alimento/mangime o l’ingrediente sia accidentale o tecnicamente inevitabile.
Beniamino Bonardi – Il Fatto alimentare – 5 maggio 2015