Olivero: carni suine, verso il regolamento 1337. Origine in etichetta solo per animali nati, allevati e macellati in Italia
Il viceministro alle politiche agricole Andrea Olivero ha risposto congiuntamente alle interrogazioni di Cova, Mongiello, Realacci e Terzoni sulle iniziative intraprese per intensificare i controlli sull’origine e sulla lavorazione delle carni suine e su tutta la filiera agroalimentare italiana, in applicazione di quanto disposto dall’articolo 4, commi 49 e 49-bis, della Legge 24 dicembre 2003, n. 350, sulla tutela del made in Italy. Secondo Olivero “la conoscenza del Paese di origine o del luogo di provenienza di un prodotto agroalimentare rappresenta un requisito imprescindibile per l’orientamento all’acquisto dei consumatori, a garanzia del diritto all’informazione e della possibilità di compiere scelte consapevoli”. In particolare per l’italia l’origine diventa un “fattore strategico per la tutela della nostra eccellenza produttiva” anche “alla luce di una diffusa pratica contraffattiva e imitativa”.
Per questo il Mipaaf “ha sempre fortemente sostenuto, in sede europea, l’indicazione obbligatoria del Paese d’origine o del luogo di provenienza dei prodotti, concertando la posizione negoziale con il Dicastero della salute, al fine di difendere l’identità, la competitività della produzione italiana sui mercati internazionali ed esteri e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
Il 13 dicembre 2013 è stato emanato il regolamento di esecuzione della Commissione n. 1337 del 2013 che, oltre a stabilire i criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introduce la prescrizione relativa all’indicazione del Paese d’origine o luogo di provenienza ove gli animali sono stati allevati e macellati.
In seguito, il Parlamento europeo, con risoluzione del 6 febbraio 2014, ha invitato la Commissione a ritirare il predetto regolamento di esecuzione e a redigerne una versione riveduta che preveda l’indicazione obbligatoria, sull’etichetta, del luogo di nascita nonché dei luoghi di allevamento e di macellazione dell’animale per le carni non trasformate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, in conformità della legislazione vigente in materia di etichettatura di origine delle carni bovine. La modifica al quadro normativo europeo di riferimento rappresenta un eccellente risultato per i consumatori, cui garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del made in Italy.
Le variazioni apportate al testo originario proposto dalla Commissione (come il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell’animale) hanno consentito di fare maggiore chiarezza sulle procedure da seguire per l’apposizione delle diciture in etichetta (anche per la carne suina, nelle varie fasi di commercializzazione) e di fornire al consumatore valide informazioni circa la realtà produttiva.
Il predetto regolamento di esecuzione (che si applicherà dal 1 aprile 2015), oltre a concedere di integrare, su base volontaria e nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento n. 1169 del 2011, le informazioni sull’origine con ulteriori informazioni relative alla provenienza della carne (tra cui, un livello geografico più dettagliato), consente di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese e dispone che l’indicazione del luogo di provenienza delle carni avvenga nel seguente modo: per tutte le specie l’indicazione «origine Italia» può essere utilizzata solo se l’animale è nato, allevato e macellato in Italia. Per gli ovini e i caprini: l’indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l’animale ha trascorso almeno gli ultimi 6 mesi in Italia ovvero viene macellato sotto i 6 mesi ed ha trascorso l’intero periodo di allevamento in Italia. Per il pollame: l’indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l’animale ha trascorso almeno l’ultimo mese in Italia, ovvero viene macellato sotto un mese di età ed ha trascorso l’intero periodo di ingrasso in Italia. Per i suini: l’indicazione «allevato in Italia» può essere utilizzata solo se l’animale viene macellato sopra i 6 mesi ed ha trascorso almeno gli ultimi 4 mesi in Italia; se è entrato in Italia ad un peso inferiore ai 30 kg e macellato ad un peso superiore ai 80 kg e, infine, se l’animale viene macellato ad un peso inferiore agli 80 kg ed ha trascorso l’intero periodo di allevamento in Italia”.
“A livello nazionale” ha ricordato il Viceministro “oltre il 70% dell’intera produzione suinicola italiana già produce carne nel rispetto delle disposizioni dei disciplinari delle denominazioni di origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP)”. Peraltro, il circuito di questi prodotti di qualità include un insieme di operatori iscritti ad un sistema organizzato e controllato della produzione”.
Secondo Olivero, malgrado l’attenzione posta su questo genere di prodotti “la sicurezza e la qualità degli alimenti possono essere maggiormente garantite attraverso un elevato livello di collaborazione e coordinamento tra le diverse amministrazioni. Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa europea vigente in materia. In particolare, il regolamento n. 882 del 2004 prevede che ciascun Paese membro predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali”.
Il Viceministro ricorda inoltre che “l’articolo 8, comma 4, del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 462 del 1986 stabilisce che presso il Ministero della sanità è istituito l’elenco pubblico delle ditte commerciali e dei produttori che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati di frode e di sofisticazione alimentare. Il Ministro della sanità ne cura annualmente la pubblicazione, con riferimento alle condanne intervenute nell’anno precedente, nella Gazzetta Ufficiale e in almeno due quotidiani a diffusione nazionale. Inoltre la recente legge 11 agosto 2014, n. 116, che ha convertito in legge il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, nell’intento di fornire, tra l’altro, maggiore tutela all’identità territoriale dei prodotti alimentari, all’articolo 3 – che ha appunto il significativo titolo di Interventi per il sostegno del made in Italy – prevede che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali svolga una consultazione pubblica tra i consumatori per valutare in quale misura, nelle informazioni relative ai prodotti alimentari, venga percepita come significativa l’indicazione relativa al luogo di origine o di provenienza dei prodotti alimentari e della materia prima agricola utilizzata nella preparazione o nella produzione degli stessi e quando l’omissione delle medesime indicazioni sia ritenuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate saranno resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea”.
Il Viceministro inoltre ravvisa l’esigenza “di fare distinzione tra i concetti di «provenienza» e di «origine» dei prodotti agroalimentari, oltre a quella di garantire la trasparenza informativa in merito all’effettiva origine delle materie prime agricole prevalenti impiegate nella fabbricazione dei prodotti stessi, in linea, del resto, con quanto previsto dall’articolo 39 del Regolamento n. 1169 del 2011. La conoscenza dell’origine degli alimenti, infatti, rappresenta un fattore di cruciale importanza sia ai fini della prevenzione delle frodi sia, soprattutto, ai fini della protezione dei consumatori lato sensu, poiché il criterio attualmente adottato dal Codice doganale comunitario per la definizione di «origine» (ossia quello del Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale) lascia, di fatto, un ampio margine di indeterminatezza e, quindi, non ci lascia tranquilli”.
Paolo Cova, firmatario della prima interrogazione, specifica però che per quanto riguarda la carne suina, si parla di un prodotto “che è stato lavorato e prodotto in Italia e trasformato per quasi due milioni e duecentomila tonnellate e di questi un milione di tonnellate arriva da Paesi esteri”. Anche per i prodotti DOP e IGP “quasi più del 40% della carne suina o suini vivi che arrivano da Paesi esteri. Questo è il reale problema”. Tuttavia “l’industria della trasformazione ha una necessità di carne suina. Il segnale che ci arriva è che c’è la necessità di avere carne suina da trasformare. Allora, credo che sia importante puntare su un maggior accordo all’interno della filiera dei suini. Diverse aziende di suini hanno chiuso in questi anni perché hanno avuto un prezzo talmente basso che non ne ha consentito la sopravvivenza. Nel contempo sono arrivate dall’estero 1 milione di tonnellate di cosce o di carne suina. Io credo che sia importante far sì che ci sia un accordo all’interno della filiera, che parte dagli allevatori e passa tramite i macellatori e i rasformatori. Forse in questo periodo, in cui c’è la necessità di avere un prodotto veramente italiano, è importante che qualcuno ceda un piccolo pezzo della propria proprietà ma che ne guadagni veramente tutto il mercato”.
Anche la deputata Colomba Mongiello interviene specificando che “non è la prima volta che il Parlamento si trova ad affrontare un tema legato alla tracciabilità, alla tutela del consumatore, all’origine dei prodotti. Tra l’altro, queste interrogazioni sono antecedenti ad una mozione sul made in Italy approvata all’unanimità dall’Aula, dove si sono poste una serie di questioni, prima fra tutte ovviamente le questioni dell’etichettatura e della tracciabilità”. Pur supportando la tesi di Cova, la Mongiello evidenzia che “all’estero transitano prodotti made in Italy che non hanno nulla a che fare con la penisola italica”. Il problema, sammai è l’origine del prodotto, non il luogo, o l’ultimo luogo, di trasformazione.
Il suggerimento è quello di mutare la “Legge olio e cerchiamo di legiferare, visto che è il semestre europeo con la presidenza italiana, nel rispetto anche di quelli che sono i dispositivi europei, ma facendo capire all’Europa che abbiamo noi l’esigenza di tutelare oltre 200 marchi registrati, ma soprattutto di tutelare un prodotto di eccellenza che solo l’Italia sa fare”. Inoltre la deputata ricorda ai presenti che “i nostri prodotti sono i più controllati al mondo; lo stesso esigiamo da altri prodotti”.
Realacci aggiunge, per concludere che “nella crisi si punta a privilegiare la qualità sulla quantità, sopratutto nel settore delle carni. Molti più cittadini puntano più a consumare meno carne, ma a consumarla di qualità migliore. Ebbene, a questi cittadini e a questa idea d’Italia bisogna dare una risposta”.
Secondo la deputata Patrizia Terzoni l’Itaila è al settimo posto in Europa “per l’allevamento di suinicultura italiana. Ma potremmo essere ai primi posti in Europa. Questo settore offre occupazione a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila solo nel comparto allevamento. Però viene importato un milione di tonnellate, all’incirca, di suini vivi o carni suine, di cui solo il 52% proviene dalla Germania; in Italia sono oltre 1 milione 299 mila tonnellate l’anno, il che significa che abbiamo un potenziale di un milione e 20 mila tonnellate di carne che potremmo allevare in Italia. Potremmo quasi raddoppiare l’occupazione italiana in questo settore”. Secondo la deputata “i prodotti all’estero costano di meno di quelli italiani perché non seguono le normali procedure di allevamento e di sicurezza alimentare che ci sono invece in Italia”.
Fonte Agrapress – 18 settembre 2014