di Giuseppe Ippolito*. II virus Eboia ha ucciso finora oltre 2.100 persone in cinque Paesi africani dell’Africa occidentale. Dal dicembre 2013 siamo di fronte alla più estesa epidemia di malattia da Eboia Virus (Mev) mai registrata. I Paesi più colpiti sono Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia dove l’epidemia si è diffusa anche nelle capitali. In Nigeria il numero dei casi è limitato e i siti colpiti ben localizzati, in Senegal si è registrato un solo caso prontamente identificato. Contemporaneamente, un’epidemia di Mev non correlata a quella in corso nei Paesi dell’Africa occidentale è stata confermata il 26 agosto nella Repubblica Democratica del Congo. La malattia da Eboia Virus (Mev), precedentemente conosciuta come febbre emorragica virale da Eboia virus, è una malattia grave, spesso fatale.
Scoperta nel 1976, epidemie si sono verificate principalmente in remoti villaggi dell’Africa, con letalità fino al 90 per cento. Il virus è trasmesso all’uomo da animali selvatici e si diffonde nella comunità per trasmissione interumana attraverso fluidi biologici. La malattia è spesso caratterizzata dall’esordio acuto di febbre, astenia intensa, mialgie, cefalea, mal di gola, seguiti da vomito, diarrea, rash, alterata funzionalità epatorenale e, in alcuni casi, emorragie. Il periodo di incubazione è di 2-21 giorni, ma la maggior parte dei casi si verifica nei primi 7-10 giorni. I pazienti gravemente malati necessitano di un intenso trattamento di supporto. Non esistono trattamenti o vaccini specifici approvati per l’uso in uomini o animali.
Le specificità di questa epidemia rispetto alle altre.
È la prima epidemia di Eboia in Africa occidentale, la prima con una così ampia diffusione geografica, la prima che colpisce grandi città. L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) l’8 agosto 2014 ha dichiarato lo stato di massima allerta definendo l’attuale epidemia “emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale in quanto”:
• l’attuale epidemia di Mev in Africa occidentale costituisce un “evento straordinario” e un rischio per la sanità pubblica per altri Stati;
• le possibili conseguenze di un’ulteriore diffusione internazionale sono particolarmente gravi alla luce della virulenza del virus, delle modalità di trasmissione in comunità e nelle strutture sanitarie e nel contesto di debolezza cronica dei sistemi sanitari nei Paesi attualmente affetti e di quelli più a rischio;
• è ritenuta essenziale una risposta coordinata a livello internazionale per arrestare la diffusione internazionale di Eboia.
Le prospettive di farmaci e vaccini.
L’Oms ha organizzato la scorsa settimana una consultazione internazionale di esperti per analizzare le potenziali terapie e i possibili vaccini contro Eboia. Il siero convalescente, prodotto dal sangue delle persone che sono sopravvissute all’Eboia, è l’unico strumento che può essere immediatamente usato per trattare i pazienti. Sono disponibili dosi limitate di due vaccini candidati e già in fase avanzata di studio che potrebbero essere pronte per l’uso già nel mese di novembre, a seconda del risultato degli studi sulla sicurezza degli stessi, per essere impiegate in operatori sanitari. Il Canada ha intenzione di donare 800 dosi di un vaccino, 10.000 dosi di un altro vaccino possono essere disponibili da un’azienda farmaceutica per la fine dell’anno. Sono in studio almeno altri 6 candidati vaccinali in vari stadi di sviluppo per quanto riguarda gli studi sulle scimmie, le modalità di produzione, gli studi clinici. Per i farmaci sperimentali in studio, almeno 4 oltre il più noto Zmapp già utilizzato sull’uomo e pertanto in fase più avanzata. Ci vorranno almeno un paio di mesi prima che possano essere utilizzati su una scala maggiore al di fuori di studi di piccole dimensioni per valutarne la sicurezza. Oms dovrebbe stabilire linee guida su percorsi normativi per l’approvazione di farmaci e vaccini da utilizzare nelle emergenze sanitarie.
I rischi per l’Italia.
È altamente improbabile, anche se teoricamente non impossibile, che persone infettate o esposte a Mev possano arrivare in Italia. Il sistema sanitario deve essere pertanto in grado di individuare prontamente il caso sospetto o l’esposto, confermare o escludere la diagnosi di Mev, per una corretta gestione del caso e l’adeguato isolamento e la prevenzione dell’epidemia sul territorio italiano. Il ministero della Salute da aprile 2014 ha adottato una serie di provvedimenti per l’identificazione dei casi, la diagnostica in condizioni di sicurezza, il ricovero di eventuali casi sospet ti ha aumentato il livello di attenzione nei punti di entrata nel Paese. L’Italia dispone di una capacità centrale di risposta rapida del ministero della Salute in grado di dare indicazioni tempestive e scientificamente corrette, di una rete capillare di strutture di malattie infettive, di una capacità logistica e operativa unica dall’aeronautica militare italiana per il trasporto in alto biocontenimento, di competenze in tema di malattie infettive e virologia degli agenti di classe 4. Tutto questo rende l’Italia uno dei migliori Paesi al mondo per confrontarsi sempre con attenzione, ma anche con una certa tranquillità, per rispondere a un’epidemia come questa.
Il ruolo dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”.
L’Inmi “Lazzaro Spallanzani” è il centro di riferimento individuato dal ministero della Salute (Ms) per l’emergenza Eboia sul territorio italiano. È dal 2009 Centro collaboratore dall’Organizzazione mondiale della Sanità per l’assistenza, la diagnosi, la risposta e la formazione sulle patologie a elevata pericolosità. Coordina la rete europea dei laboratori di biosicurezza di livello 4.
L’impatto economico di Eboia.
In questa epidemia un gran numero di operatori sanitari sono stati colpiti e sono morti con un impatto devastante in Paesi dove c’è un medico ogni 100.000 abitanti, dove la spesa sanitaria pro capite è estremamente bassa e pertanto i sistemi sanitari sono estremamente deboli. Inoltre la chiusura degli aeroporti ha determinato grandi difficoltà nella consegna di aiuti umanitari, farmaci e dispositivi di protezione ai Paesi colpiti. Le Nazioni unite hanno stimato che saranno necessari 600 milioni di dollari per combattere l’epidemia e affrontare la devastazione economica e sociale subita dai Paesi più colpiti: Liberia, Sierra Leone e Guinea Conakry.
Una valutazione di prospettiva.
La risposta all’epidemia non può che essere tecnica, organizzata, coordinata e gestita con leadership. Non bisogna confondere il ruolo delle Istituzioni con le organizzazioni non governative (NGOs). Ognuno ha le proprie competenze e un proprio ruolo ben distinto. In ogni caso va segnalato che in questa epidemia Medici senza frontiere ha avuto un ruolo strategico di assoluta rilevanza, anche nel supportare l’operatività delle Istituzioni partecipanti. La Commissione europea ha inviato in Africa tre laboratori mobili di alto biocontenimento (BSL4) per potenziare le capacità di rilevamento e monitoraggio del virus in rapida diffusione. Questo intervento, unitamente all’invio di laboratori simili da parte di Usa e Canada si è dimostrato essenziale per effettuare la diagnostica e decidere chi isolare e chi no. Sono necessari interventi per consentire l’identificazione dei casi sospetti con valutazione di laboratorio, l’isolamento dei pazienti positivi, l’osservazione dei contatti, la raccolta sistematica e standardizzata dei dati, l’informazione della popolazione, la formazione degli operatori sanitari, la fornitura di Dpi, la limitazione di movimento delle persone, l’attivazione di sistemi di alert per il controllo di comunità e prima di tutto una gestione clinica degna di tale nome. Solo un’azione di questo tipo può fermare l’epidemia.
Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani
Il Sole 24 Ore sanità – 18 settembre 2014