Nel passaggio in Parlamento il decreto sulla trasparenza della Pubblica amministrazione fa tesoro delle obiezioni sollevate da Anac e Consiglio di Stato; e con le modifiche di cui la stessa ministra per la Pa e la semplificazione Marianna Madia ha già annunciato l’accoglimento si candida a diventare davvero la traduzione italiana del Foia (Freedom of Information Act), faro anglosassone della trasparenza pubblica. Ieri le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato hanno dato il parere positivo al decreto attuativo della riforma della Pa con una serie di «condizioni» che chiedono modifiche al testo presentato dal Governo. L’elenco riprende puntualmente i punti chiave del dibattito che ha accompagnato il provvedimento fin dalla sua presentazione, e punta a semplificare le istanze dei cittadini, cancellare il silenzio-rifiuto e tagliare i costi a carico di chi presenta la richiesta. Obiettivo dichiarato del decreto è passare dal nostro tradizionale diritto di accesso, che permette di chiedere atti alla Pa a chi ha «un interesse diretto, concreto e attuale», all’apertura totale delle informazioni pubbliche.
Con le sole eccezioni motivate dalla tutela di dati sensibili per esempio sul piano della privacy o dell’interesse nazionale. Con un contrasto stridente rispetto a questa “rivoluzione” dichiarata, però, il testo scritto a Palazzo Vidoni ha ripescato il vecchio silenzio-rifiuto, in base al quale dopo 30 giorni senza risposta la richiesta «si intende respinta». Camera e Senato chiedono di cancellare questo ritorno al passato, e di imporre l’obbligo di motivazione alla Pa che non intende rispondere. Da alleggerire, poi, è l’elenco di eccezioni alla trasparenza prospettato dal decreto: il «no», secondo le richieste dei parlamentari, andrebbe pronunciato solo in caso di «pregiudizio concreto agli interessi» da tutelare, sul piano pubblico (sicurezza nazionale, stabilità monetaria e finanziaria e così via) o privato (privacy e interessi economici).
Il decreto originale, poi, rischia di presentare un conto salato ai cittadini, con la previsione che il rilascio dei documenti sia «subordinato al rimborso dei costi» da parte di chi ha fatto la richiesta e con il ricorso al Tar come unica strada per opporsi invece al silenzio della Pa. Per tagliare la spesa, il Parlamento chiede di puntare sulle richieste telematiche (come suggerito dal Consiglio di Stato) obbligando negli altri casi la Pa a dettagliare i costi sostenuti per supporti alternativi. Alla Camera e al Senato, insomma, hanno trovato ascolto le critiche sollevate in queste settimane da Foia4Italy, la rete delle associazioni che si batte per l’introduzione anche da noi della trasparenza modello anglosassone: «Il Parlamento – chiosa Federico Anghelé, di «Riparte il futuro» – ci dà ragione su tutta la linea».
Sempre dal Parlamento, ma questa volta dai tecnici di Camera e Senato, arrivano richieste di chiarimenti sul decreto anti-assenteismo, altro tassello chiave della riforma Madia. Anche in questo caso i punti in discussione sono analoghi a quelli sollevati dai giudici: nel dossier si suggerisce di ripensare la sanzione del licenziamento per il dirigente che non vigila, e che sarebbe sottoposto allo stesso trattamento di chi timbra il cartellino e se ne va, e di escludere la possibilità che il danno all’immagine sia quantificato in base alla rilevanza mediatica del caso.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 21 aprile 2016