Risparmi sulle cure dei malati in cambio di un premio, in denaro ovviamente. Succede nella sanità pubblica ed è l’ultima, estrema, distorsione, della spending review alla veneta, che impone ai medici di famiglia di prescrivere per ogni paziente un massimo di 120 euro l’anno di farmaci. In palio ci sono 1,35 euro ad assistito e considerando che un dottore di base ha una media di 1200/1500 utenti non è male come quota parte, soprattutto perchè si aggiunge allo stipendio e ad altre voci sull’esempio di quella citata.
E’ il passaggio più clamoroso dell’«Accordo aziendale con i medici di assistenza primaria» redatto dall’Usl 16 di Padova, la più grande del Veneto, e già firmato da Sumai, Snami e Smi. Ma non dalla Fimmg, che nella città del Santo rappresenta 189 colleghi su un totale di 300 e che contesta l’articolo 3/4 del patto, inerente la spesa farmaceutica. Eccone il contenuto: «Per l’anno 2013/2014 l’obiettivo viene raggiunto qualora il costo pro capite per assistito annuo pesato sia inferiore o uguale a 120 euro. A questo obiettivo se ne aggiungono altri legati all’appropriatezza prescrittiva: la proporzione di assistiti in trattamento con sartani (medicinali per ipertesi, ndr), rispetto al totale degli assistiti in trattamento con farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina, non dovrà essere superiore al 68%; la proporzione di assistiti in trattamento con atorvastina (contro il colesterolo alto, ndr) rispetto al totale degli assistiti in trattamento anche con rosuvastatina e associazione simvastatina/ezetimibe dovrà essere superiore al 65% ai fini del raggiungimento dell’obiettivo». Mica finita, ecco il premio, denominato «quota B»: «Qualora l’azienda raggiunga l’obiettivo assegnato dalla Regione di una spesa farmaceutica pari o inferiore a 120 euro per assistito pesato all’anno, la quota B (1,35 euro, ndr) verrà riconosciuta a tutti i medici che hanno sottoscritto il presente accordo». «Una follia — commenta Domenico Crisarà, segretario provinciale della Fimmg — mi impongono la percentuale di malati per ogni patologia, come fossero pedine da scacchiera e non esseri umani, e mi dicono pure di non spendere oltre 120 euro a testa. Significa dover interrompere terapie salvavita già in atto, che funzionano e sono ben tollerate dal paziente, per sostituirle con altre più economiche ma magari non ugualmente efficaci. E noi dobbiamo rischiare di creare un danno a una persona per motivi puramente economici e far passare il concetto che se neghiamo un farmaco a uno che sta male siamo pure pagati? Non esiste — chiude Crisarà — o tolgono numeri e percentuali o non firmeremo mai».
«In realtà a gennaio abbiamo già raggiunto l’obiettivo dei 120 euro pro capite, imposto solo per ragioni di appropriatezza prescrittiva, non di cassa — ribatte Domenico Scibetta, direttore sanitario dell’Usl 16 —. Ai malati continueremo a dare ciò di cui hanno bisogno, anche sforando i parametri designati, come testimoniano le terapie da 48 mila euro a settimana garantite ad alcuni di loro. Gli indici ci sono solo per stimolare i medici ad avvicinarsi gradualmente ai valori studiati dalla Regione per il contenimento della spesa farmaceutica».
Michela Nicolussi Moro – Corriere del Veneto – 8 aprile 2014