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Sindacati contro Nestlè. “I posti di lavoro stabili trasformati in part-time”. L’azienda: servono nuovi paradigmi produttivi

Rosaria Talarico. Cioccolato amaro per gli oltre mille dipendenti della Nestlé in Italia. Si tratta di coloro che lavorano negli stabilimenti di Perugia (dove si producono i Baci Perugina), di Parma e Ferentino in provincia di Frosinone dedicati ai gelati. La multinazionale del settore alimentare vorrebbe trasformare il contratto a tempo indeterminato in part-time.

Un provvedimento che, calcolano i sindacati, riguarderebbe 250 posti di lavoro. «Il dato corrisponde grosso modo al 70% delle ore lavorate – spiega Mauro Macchiesi, segretario nazionale Flai-Cgil -. È una richiesta inaccettabile. Soprattutto perché da anni Nestlé non fa investimenti e non lancia un nuovo prodotto di gelati in Italia. Ha preferito invece aprire una nuova fabbrica per Nespresso in Germania, mentre i semifreddi si producono in Francia».

La crisi scaturisce dalla stagionalità delle produzioni, legate a ricorrenze particolari o al fatto che d’estate banalmente si mangiano più gelati. L’azienda intende risolvere la situazione adeguando «il modello produttivo di alcuni business per rilanciarne la competitività», visto che i settori del dolciario e del gelato sono caratterizzati da consumi discontinui. «Questo impone di avvicinare il momento della produzione a quello del consumo, concentrando le produzioni in determinati momenti dell’anno».

Sul fronte sindacale considerano non veritiera questa ricostruzione: «Negli stabilimenti si fanno da sempre produzioni destagionalizzate per saturare gli impianti – prosegue Macchiesi – noi siamo disponibili alla flessibilità. Lo abbiamo sempre detto, ma i lavoratori non possono pagare la mancanza di strategia di Nestlé». Che risponde piccata e si dice colpita dalla «presa di posizione dei sindacati a fronte di una ampia disponibilità dell’azienda che, in uno scenario molto mutato nel corso degli ultimi anni, necessita di nuovi paradigmi produttivi, è impegnata a ricercare le migliori soluzioni per favorire la competitività delle produzioni italiane e la salvaguardia dei posti di lavoro». In realtà il numero di lavoratori stagionali non è così elevato come si potrebbe pensare. «Quando ci sono, non sono molti. Perché per via della crisi l’azienda ha fatto lavorare gli assunti».

La Stampa – 8 aprile 2014 

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