Per chi si fosse illuso, dopo l’incontro di ieri tra il premier Mario Monti ed Enrico Giovannini, che la questione dei costi della politica fosse tra le priorità del Governo, è arrivata in mattinata la “smentita” di Palazzo Chigi. Per gli interventi sugli stipendi dei parlamentari, si sottolinea in una nota, «la competenza appartiene alle Camere e non esistono poteri sostitutivi» da parte del governo anche in caso di «inerzia» del Parlamento. Intanto si scopre che il regolamento sul personale del Senato prevede un’«indennità compensativa di produttività» che equivale a una sedicesima mensilità. E Gian Antonio Stella racconta le indennità (indifendibili) dei deputati siciliani. Di seguito gli articoli del Corriere e del Sole.
Palazzo Chigi: costi della politica, «La competenza appartiene alle Camere»«In relazione al titolo di un quotidiano secondo il quale, in caso di inerzia del Parlamento in merito ai trattamenti economici dei senatori e dei deputati, interverrebbe il governo, la presidenza del Consiglio fa sapere che la competenza appartiene alle Camere e non esistono poteri sostitutivi in materia»: questa la nota ufficiale della presidenza del Consiglio che ribadisce come ci sia autonomia assoluta delle due Camere per quanto riguarda il trattamento economico di deputati e senatori.
COMMISSIONE GIOVANNINI – Il premier Mario Monti infatti aveva incontrato mercoledì Enrico Giovannini, capo della commissione che doveva valutare i costi della politica. E aveva affermato che il governo «terrà conto» per le proprie decisioni future «dei rilievi formulati» dalla commissione. Due ore di colloquio, a palazzo Chigi. Dopo il clamore e le polemiche degli ultimi giorni, dei cui toni Giovannini si diceva «stupito e dispiaciuto». Al premier il presidente dell’Istat aveva illustrato il lavoro finora svolto dalla sua commissione, che dal governo Berlusconi era stata incaricata di comparare i dati, in vista di un «livellamento retributivo» degli stipendi dei membri di trentuno enti (Parlamento incluso) alla media europea. Giovannini aveva fatto però presenti al premier «le difficoltà e criticità incontrate», a partire dalla «ambiguità» delle norme sulla base delle quali si dovrebbe svolgere il confronto. Con la conseguente impossibilità in molti casi di calcolare una media. Al termine dell’incontro Monti aveva reso noto di aver non solo «preso atto dei rilievi» della commissione, ma che «il governo terrà conto» di quelle osservazioni «per le successive determinazioni di propria competenza». Una dichiarazione che sembrava confermare l’intenzione del presidente del Consiglio di intervenire sul tema dei costi della politica. Ma che aveva creato allarme tra deputati e senatori. Oggi la smentita. L’intervento del Governo non riguarderà i costi del Parlamento.
Corriere.it – 5 gennaio 2012
Ai dipendenti del Senato anche la «sedicesima»
Il regolamento sul personale del Senato, all’articolo 17 comma 3, la chiama «indennità compensativa di produttività», ma di fatto equivale a una sedicesima mensilità. Cioè una mensilità aggiuntiva rispetto alle già quindici mensilità di cui si compone lo stipendio dei dipendenti di entrambi i rami del Parlamento. Oltre alle classiche tredicesima e quattordicesima riscosse a dicembre e a giugno, i lavoratori di Camera e Senato incassano infatti la quindicesima: una mensilità il cui importo viene spalmato nelle buste paga di aprile e settembre.
A Palazzo Madama, dal 2004 è entrata in vigore un’ulteriore voce: l’indennità compensativa di produttività, per l’appunto. Al Senato nessuno osa chiamarla “sedicesima” e per la verità non si è trattato di una aggiunta netta allo stipendio: come dice la definizione stessa, essa va a compensare dell’altro. In particolare la rinuncia a una serie di festività soppresse e l’incremento – da 37 ore e mezzo a 40 ore settimanali – dell’orario di lavoro nelle sedute d’aula infrasettimanali. Sedute d’aula che tuttavia in alcune settimane dell’anno non sono neppure troppo frequenti. Anche in questo caso l’indennità è spalmata: per metà va a rimpinguare la busta paga di aprile e per metà quella di settembre.
E non è finita qui: la voce è anche «pensionabile» cioè vale anche nel calcolo dell’assegno pensionistico. Un di più per nulla scontato se si pensa che le altre voci che compongono lo stipendio dei dipendenti del Senato sono rigorosamente «non pensionabili»: dall’indennità di funzione alle altre indennità e forme di incentivazione. Ed anche il regolamento della Camera su questo punto è preciso: le indennità speciali «non sono pensionabili».
Benefit che sopravvivono dunque nonostante la cura dimagrante che da alcuni anni la crisi economica ha imposto anche alle istituzioni. Bisogna infatti ricordare che anche il Senato ha imposto “sacrifici” ai suoi dipendenti. Ne ha cambiato ad esempio il sistema di calcolo delle pensioni: dal quest’anno ci sarà il contributivo pro rata per tutti (alla Camera oltre al contributivo per tutti è previsto l’innalzamento a 66 anni dell’età per la pensione di vecchiaia) ed è stato introdotto il prelievo di solidarietà del 15% sulle pensioni per la parte eccedente i 200mila euro annui lordi.
Il bilancio per il 2011 predisposto da Palazzo Madama ha inoltre comportato la mancata applicazione alle retribuzioni del personale dell’incremento del 3,2 per cento. In tutto, sul trattamento retributivo dei dipendenti Palazzo Madama dovrebbe risparmiare 18,85 milioni. Più cospicui, invece, i risparmi messi in cantiere dalla Camera anche perché il maggior numero di dipendenti rispetto al Senato rende più cospicui i tagli.
Ilsole24ore.com – 5 gennaio 2012
Le indennità (indifendibili) dei deputati della Sicilia
All’Ars anche chi vive a Palermo ha 3.500 euro per il soggiorno
Domanda facile facile: fanno più danni all’immagine della politica certi titoli critici sui giornali o le regolette che permettono a un deputato regionale siciliano d’incassare complessivamente 14.808 euro netti al mese? E che il presidente di una commissione dell’Ars possa arrivare a prenderne 17.476 netti al mese è davvero un «costo della democrazia» da pagare in nome dei nobili ideali? Sono interrogativi inevitabili dopo aver letto ieri mattina, sul Giornale di Sicilia , l’inchiesta di Giacinto Pipitone sulle tante voci che compongono la busta paga «vera» di un eletto all’Assemblea regionale isolana. Certo, anche lì, esattamente come a Roma, c’è chi dice che va calcolata solo l’indennità pura e semplice. Che in questo caso è di 5.390 euro netti al mese «che possono crescere a 5.642 se il deputato non versa la quota per la reversibilità della pensione».
Niente più che uno stipendio dignitoso. Poi, però, va aggiunto il resto. E cioè altri 3.500 euro di diaria (meno 225 euro di trattenuta al giorno a chi si assenta ingiustificato) per il soggiorno a Palermo, soldi che incassano tutti, anche quelli che sono nati e cresciuti e ancora vivono nei dintorni di piazza Politeama. Più altri 4.178 per lo «svolgimento del mandato», che teoricamente dovrebbero essere usati per pagare uno o due collaboratori e invece troppo spesso sono girati solo in minima parte a portaborse arruolati con un tozzo di pane e la promessa di una candidatura. E siamo già, minimo, a 13.068 euro netti.
Ma non basta ancora. Spiega infatti il documento ufficiale «Trattamento economico dei Deputati dell’Assemblea regionale siciliana», che «per le spese di trasporto (ferroviario, aereo e marittimo) è previsto un rimborso spese forfettario annuo di euro 10.095,84», vale a dire 841 al mese. Più «una somma annua di 4.150,00 euro per le spese telefoniche, inclusi i servizi di connettività», cioè altri 345 al mese. Più «una indennità di trasporto su gomma», parole testuali, «per le spese sostenute per raggiungere la sede dell’Assemblea il cui ammontare annuo è pari a euro 13.293,00 per il Deputato che debba percorrere una distanza massima di 100 km, è pari a 15.979,00 se la distanza da percorrere è superiore a 100 km». Per capirci: un consigliere regionale residente a Cefalù incassa altri 1.107 euro mensili, uno che vive a Trapani altri 1.331.
E chi abita a Palermo? Varranno almeno per lui le regole di tutti i lavoratori del pianeta che non vengono rimborsati per andare in ufficio? No: per andare in Regione la mattina prende anche lui (salvo eccezioni se fa parte del consiglio di presidenza o della giunta regionale) una certa somma, sia pure dimezzata: 6.646 euro. Cioè 554 al mese.
Facciamo le somme? Un deputato regionale semplice senza un solo incarico supplementare e residente a Palermo riceve di fatto, ogni mese, 14.808 euro netti. Cioè 177.696 l’anno, quasi 11 volte di più del reddito pro capite siciliano, che oggi è pari a 66% di quello medio europeo.
Numeri sconcertanti. Tanto più se messi a confronto con una tabella del Sole 24 Ore sul rapporto tra l’indennità di base dei vari parlamentari e il Pil pro capite dei vari Paesi europei. Tabella da cui emerge, per fare qualche esempio, che questa indennità è solo del 2% superiore al prodotto interno lordo individuale medio in Lussemburgo, del 66% in Spagna, del 122% in Francia, del 173% in Olanda, del 232% in Austria, del 289% in Grecia e del 488 in Italia.
Ma non basta ancora. I deputati regionali semplici, senza manco un piccolo grado sulle spalline, sono in Sicilia più rari delle tigri di Sumatra o dei gorilla Beringei congolesi. Nella grande maggioranza, infatti, sono graduati. E aggiungono dunque alle prebende citate (già più alte complessivamente di quelle dovute ai senatori di Palazzo Madama, l’unica entità alla quale l’Ars accetta nella sua megalomania di essere comparata) nuove voci di entrate. Spiega dunque il documento ufficiale che ogni parlamentare regionale, se fa anche il segretario di una delle 9 (nove!) commissioni, ha diritto a una indennità supplementare di 414 euro al mese. Se fa il vicepresidente 829, se fa il presidente 3.313. Se poi fa il Questore incamera un surplus di 4.642 euro, se fa il vicepresidente dell’Assemblea di 5.149, se fa il presidente di 7.724. Tutte somme, per quel che si capisce, sottoposte poi alle normali trattenute.
Vogliamo fare le somme? Ipotizziamo l’esistenza di un parlamentare di Trapani (109 chilometri da Palermo: massimo rimborso per il «trasporto su gomma») che faccia il presidente di una qualunque commissione. Ammesso che l’indennità supplementare venga falciata dall’aliquota fiscale più alta (43%) finirà per incassare, come dicevamo, tutto compreso, 17.476 euro netti al mese. Pari a 209.712 l’anno. Quanto i governatori del Maine, dell’Oregon, dell’Arkansas e del Colorado messi insieme.
Ma quanto lavorano, poi, queste commissioni? A sentire molti protagonisti, sgobbano e sgobbano infaticabili dal 1° gennaio a San Silvestro. Non così la pensa, però, il democratico Giovanni Barbagallo che un paio d’anni fa, tra le perplessità perfino di qualche compagno di partito, chiese di tagliare le indennità supplementari a tutti i colleghi che le percepivano. I conti delle riunioni e delle presenze, infatti, non gli tornavano. A partire dall’organismo di cui faceva parte lui stesso: «Sono il vicepresidente della commissione Statuto che in questa legislatura si è riunita sei volte in 7 mesi. Eppure io e l’altro vicepresidente prendiamo un’indennità aggiuntiva di 829 euro lordi al mese. E il presidente 3.316».
«Demagogo!», gli urlarono. Il collega Giovanni Ardizzone fu sferzante: «Il costo della politica va commisurato al risultato. E questa Assemblea di risultati ne sta producendo». Tuttavia, aggiunse sarcastico, «chi ha coraggio vada fino in fondo. Se Barbagallo vuole può rinunciare all’indennità aggiuntiva…». Sei mesi dopo, preso atto che quella commissione sullo Statuto era davvero indifendibile, il presidente Cascio, tra qualche stupefacente protesta di chi pretendeva di lasciare le cose come stavano, la sciolse: «È stata convocata 16 volte in un anno ma ha svolto appena una decina di sedute perché in altre sei occasioni è mancato il numero legale. In totale i deputati membri hanno lavorato 7 ore e 35 minuti. In un anno».
Il Giornale di Sicilia fece i conti: in quell’anno, di sole indennità, la «Statuto» era costata complessivamente 64.656 euro. Il che significa che il presidente Alessandro Aricò aveva preso un supplemento di 87 euro per ogni minuto di riunione. Per un totale di 5.247 euro l’ora. Caruccia, come commissione. Possiamo dirlo o è anche questo «un attacco demagogico alla democrazia»?
Gian Antonio Stella – Corriere della Sera – 5 gennaio 2012