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Parigi. Come reagire. I limiti alla libertà che è possibile accettare in nome della sicurezza. E i nostri nuovi dilemmi: viaggiare ancora o chiudersi a casa? Cambiare le nostre abitudini è inutile e controproducente

All’indomani degli attacchi terroristici che hanno colpito Parigi tra i molti punti ancora oscuri una cosa è chiara: ci riguardano, subito e adesso. Toccano aspetti molto pratici e quotidiani delle nostre vite globalizzate ma anche questioni di principio fondamentali per la società in cui vogliamo vivere. Abbiamo provato a rispondere ad alcuni degli interrogativi sollevati dagli attacchi.

1 Ieri molti italiani che avevano comprato i biglietti aerei per Parigi sono rimasti a terra. È opportuno annullare o rimandare ?la partenza?

«Non ci sono particolari restrizioni: Air France ha annunciato che i voli rimarranno attivi e il ministero degli Esteri non ha emesso nessuno “sconsiglio” (la certificazione di pericolo che permette di avere il rimborso dei viaggi, ndr ) — dice Jacopo De Ria, presidente della Fiavet, la federazione degli agenti di viaggi —. Può darsi che alcuni musei e Disneyland Paris rimangano chiusi ancora per un altro giorno e con il blocco delle frontiere ci saranno controlli alle dogane anche per i cittadini europei, con qualche fila in più. Ma non significa che si debba evitare di andare in Francia o a Parigi, anzi: di fronte a un attentato così sconvolgente dobbiamo reagire e far valere la solidarietà europea». Non è la prima volta: «Anche Madrid è stata vittima in passato di un attentato tremendo, ma questo non l’ha fermata» ricorda Ettore Cucari, che della Fiavet presiede la sezione campana.

2 In Francia le autorità hanno raccomandato a turisti e parigini di non uscire di ?casa: è una misura eccessiva?

«Purtroppo in questo momento è la cosa migliore da fare: una dinamica comune negli attacchi terroristici è fare un secondo attentato dopo quello maggiore — spiega dagli Stati Uniti l’italiano Lorenzo Vidino che dirige il programma sull’estremismo della George Washington University nella capitale federale —. È successo anche con quello contro la rivista satirica Charlie Hebdo . In quel caso ci fu una grande manifestazione di solidarietà che attirò l’attenzione mediatica: i terroristi ora potrebbero aspettarselo e prenderla di mira. Al momento sarebbe irresponsabile non imporre delle limitazioni».

3 In generale possiamo fidarci a viaggiare in treno, aereo o metro in Italia e negli altri Paesi europei?

«Tendenzialmente sì — risponde questa volta Vidino —. Gli attacchi terroristici anche se suscitano molta paura ed attenzione e anche se purtroppo costituiscono un rischio possibile, sono episodici: statisticamente i viaggi sono sicuri. Il terrorismo è un fatto eccezionale, molto meno pericoloso e probabile degli incidenti “normali” che possono accadere con ogni tipo di mezzo di trasporto».

4 È giusto parlare degli attacchi terroristici ai bambini? Come? E da quale età?

«È essenziale perché oggi è inevitabile che ne sentano parlare in tv o da chi li circonda. E bisogna evitare che siano lasciati soli a decodificare le informazioni. Anche perché i bambini tendono subito a identificarsi e temono che possa succedere anche a loro — afferma la psicoterapeuta Cristiana Dentone, presidente della Società italiana degli psicologi dell’emergenza —. Non si deve mai mentire, neppure con i bambini in età prescolare, ma ascoltarli in modo empatico lasciando che esprimano le loro emozioni. E poi rassicurarli. Vanno aiutati a sostituire i pensieri più negativi legati ad ansia, rabbia e paura con messaggi educativi positivi di pace, tolleranza e integrazione. Aiuta chiedere loro di fare un disegno, scrivere una lettera o anche accendere una candela insieme, o partecipare a un corteo di solidarietà: il senso di comunità è un messaggio di forza, permette di non sentirsi soli e ribadire che abbiamo principi più forti della violenza».

5 Molte persone si sono riversate sui social media e hanno scritto messaggi, di accusa o solidarietà: serve a qualcosa?

«Serve nel caso dei messaggi fatti circolare con l’hashtag #PorteOuverte («porte aperte») per dare indicazioni sulle risorse di base a chi era a Parigi, o del bottone introdotto da Facebook per indicare che ci si trova al sicuro. Non solo ai parigini: ritwittarli ha permesso a chi stava in Italia di sentirsi meno impotente — dice Giuseppe Riva che insegna Psicologia delle nuove tecnologie all’Università Cattolica di Milano —. Non aiutano le reazioni troppo emotive: sono uno sfogo immediato, ma se non si superano rabbia e paura è impossibile “uscire” dal trauma. Vale per gli individui come per la comunicazione sui social media: bisogna cercare di passare sul piano più razionale ed evitare atteggiamenti di vendetta».

6 Dobbiamo cambiare le nostre abitudini per paura di altri attentati? Rinunciare a un po’ di libertà in cambio della sicurezza?

«Insinuare la paura in ogni atto della nostra quotidianità è uno degli obiettivi dei terroristi che non a caso a Parigi hanno colpito i luoghi simbolo di un “ordinario” fine settimana. Cambiare le nostre abitudini, ammesso che sia possibile, sarebbe inutile e controproducente — dice Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) —. E anche gli interventi che limitino significativamente le nostre libertà vanno valutati con cautela. La stessa che abbiamo applicato affrontando le Br, una battaglia che abbiamo vinto senza intaccare i diritti sanciti dalla Costituzione».

7 Come possiamo aiutare i francesi?

«Con la solidarietà: ci sono state manifestazioni spontanee a Roma, Milano e in varie città e altre ne seguiranno — risponde ancora il direttore dell’Ispi —, così come iniziative per affermare la netta distinzione tra Islam e terrorismo e il principio dell’inclusione. Ce n’è un enorme bisogno per evitare che sulla spinta dei partiti xenofobi si criminalizzino intere comunità».

Elena Tebano – Il Corriere della Sera – 15 novembre 2015 

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