Il ddl discusso dal Consiglio dei ministri di venerdì è di quelli ambiziosi: punta ad abrogare le norme che oggi regolano il finanziamento pubblico dei partiti per sostituirlo con un meccanismo fondato sui liberi contributi dei cittadini. In pratica, il governo intende non solo mettere un argine al mare di contributi pubblici che dal 1994 – anno successivo al referendum che aveva decretato lo stop ai finanziamenti statali – permette ai partiti di avere bilanci degni di una multinazionale, ma addirittura estinguere la fonte di tanta ricchezza. Che è ingente, ed è andata crescendo nel tempo, nonostante gli ultimi, recenti “taglietti” agli stanziamenti previsti, e il cambio di nome, da finanziamento pubblico a rimborsi elettorali, successivo alla scandalo Tangentopoli.
Partiti nel paese di Cuccagna
Basta scorrere le cifre per rendersi conto che i partiti hanno finora vissuto nel paese di Cuccagna: si parte dai 47 milioni di rimborsi elettorali distribuiti per le Politiche del 1994 per arrivare ai 503 milioni di euro – una crescita di 10 volte – affidati ai partiti dopo le Politiche del 2008 per la XVIma legislatura.
In 14 anni, tra le politiche del 1994 e quelle del 2008 i partiti hanno ricevuto circa 2,25 miliardi di euro. Per il 2008 parliamo, in dettaglio, di 206 milioni di euro andati al Pdl, 180 al Pd, 41 alla Lega Nord e 25 all’Udc e 21 all’Idv, solo per considerare solo i maggiori, ma nessun partito è rimasto fuori dalla distribuzione dei fondi.
“Tesoretto” che cresce più delle spese sostenute
Ad aggravare le cose, la cattiva abitudine di tutti i partiti ad accrescere il “tesoretto” più che a spenderlo in iniziative politiche e di propaganda, segno che evidentemente la dotazione è eccessiva rispetto al bisogno. In altre parole, l’ammontare delle spese elettorali sostenute dai partiti è sì cresciuto negli anni, ma non al ritmo dei rimborsi incassati e dei fondi distribuiti per quelle spese. Alle politiche 2008, ad esempio, mediamente per ogni euro speso, i partiti ne hanno incassati quattro e mezzo. Nel caso del Pdl, a fronte di spese per 68 milioni di euro ne ha incassati tre volte di più (oltre 206 milioni). Il morigerato Pd ha speso nella stessa occasione 18 milioni di euro e ne ha incassati 180. La Lega che ha incassato oltre 11 volte più di quanto speso.
Il passaggio all’euro “gonfia” la dote
A gonfiare i rimborsi nel tempo ci ha pensato, come molti altri costi dello Stato, l’adozione dell’euro. Nel ’93 il fondo a disposizione (da distribuire ai partiti in grado di ottenere almeno l’1 per cento dei voti) veniva calcolato moltiplicando 1.600 lire per il numero degli italiani. Nel ’99 una norma ha più che raddoppiato la misura del contributo portandolo a 4mila lire, poi aumentato ancora a 5 euro. Inutile, su queste basi, introdurre “paletti” come quello di limitare il fattore di moltiplicazione ai cittadini iscritti alle liste elettorali per le elezioni della Camera (guarda caso l’elettorato più numeroso): il tesoro da spartire è cresciuto in modo esponenziale.
Decisiva anche la “clausola di salvaguardia” voluta dai partiti, poi opportunamente abolita: il pagamento dei contributi avviene anche in caso di interruzione anticipata della legislatura, evento che si è verificato nel 2008 e che ha fatto ancora più ricchi i già ricchi tesorieri. Gli ultimi tagli minimi che non cambiano la sostanza Per mettere un freno all’accumulo si è dovuta attendere il vento dell’antipolitica e l’insediamento del governo dei “tecnici”: le decurtazioni dei fondi attuate con varie manovre e in più tempi hanno portato negli ultimi quattro anni a un taglio del 30 per cento, culminate nel luglio del 2012 all’approvazione della legge n. 96/2012 che ha dimezzato i contributi pubblici per il 2012 da 182 a 91 milioni e stabilito delle riduzioni per gli anni successivi. A favore Pd e Pdl, Lega astenuta, Idv contraria.
Il risparmio ottenuto con i tagli del 2012 e del 2013 (165 milioni di euro) sono stati trasformati in aiuti alle regioni colpite dai terremoti dell’Abruzzo e dell’Emilia.
Il Sole 24 Ore – 25 maggio 2013