L’azione del governo sulla riforma delle pensioni è ufficialmente partita negli incontri con le parti sociali. Dunque, se appare ormai chiaro che verrà riportato un minimo di flessibilità in uscita dal lavoro, con possibilità di andare in pensione già a 62 anni, ma con una quota di penalizzazione via via sempre più ridotta con il passare degli anni lavorati in più, è anche vero che già questo intervento potrebbe rivelarsi sin troppo dispendioso per le casse pubbliche. Così, allo studio sarebbe una tassa di scopo progressiva sui redditi alti – pensioni incluse – oltre i 60mila euro lordi che potrebbe coprire un range sugli assegni di trattenute tra gli 8 e i 150 euro. Questo provvedimento, potrebbe andare a coprire parte delle risorse necessarie.
A promuovere sia le uscite flessibili che una maggiore convenienza per le imprese a inserire nei propri organici giovani attualmente senza lavoro, i quali potrebbero legarsi, nel periodo iniziale, ai lavoratori uscenti mettendo in pratica un vero e proprio turnover alla scrivania.
Se, come ha annunciato il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, gli interventi, almeno in questa prima fase, saranno realizzati “con il cacciavite”, dall’altra parte c’è sempre lo sguardo severo di Bruxelles che si volge sulla contabilità italiana. Tutto ciò, mentre nel nostro Paese è in atto ormai da un anno e mezzo un vero e proprio dramma sociale inedito negli altri Stati europei, quello degli esodati, che richiedono al più presto un salvataggio definitivo e alla cui difesa, nelle ultime ore, è arrivato anche un post sul blog di Beppe Grillo.
Come apparso chiaro sin dalle prime fasi di studio per le modifiche alla riforma Fornero delle pensioni, però,nessun correttivo alla legge che ha sconquassato il welfare nazionale potrà essere realizzato senza fai corrispondere, al versante opposto, qualche misura in favore dell’occupazione giovanile.
Così, dopo anni sono tornate all’ordine del giorno parole come “staffetta” e “solidarietà generazionale”, o, ancora, “patto tra giovani e anziani”, per simboleggiare un restyling della legge che non potrà non tenere conto delle fasce più socialmente esposte, cioè quelli che si incrociano nelle porte scorrevoli dell’età lavorativa: i futuri pensionati e i 20-30enni attualmente ancora senza occupazione.
Dunque, se questa è la volontà del governo, espressa anche in prima persona dal premier Enrico Letta, la rigidità che arriva dalle istituzioni europee nei confronti di nuove manovre italiane si riassume tutta nel fatto che, nonostante nei prossimi giorni verrà accantonata la procedura di deficit eccessivo,contemporaneamente si apriranno le raccomandazioni rivolte al ministro dell’Economia Saccomanni, cioè quella di tenere ben saldi i cordoni della borsa evitando progetti troppo ambiziosi.
Intanto, però, c’è la priorità esodati ancora da sbrogliare e anche Beppe Grillo, dal suo blog organo principale del MoVimento 5 Stelle, prende le parti di questi esercito di onesti lavoratori che lo Stato ha lasciato senza copertura previdenziale e senza stipendio. “Per gli ex parlamentari che incassano il vitalizio, come Scalfari o Veltroni, il diritto acquisito è inamovibile – scrive Beppe Grillo – Chi doveva andare in pensione a 60 anni per diritto acquisito ci andrà a 68 anni, chi ha tre pensioni va alle Maldive a dicembre per diritto acquisito. Per gli esodati il diritto acquisito c’era una volta, con tanto di impegni firmati dalle aziende e dallo Stato, e all’improvviso non c’era più.” (LeggiOggi)
Pensioni, i calcoli segreti sulla previdenza
Tramontato il governo Monti e con esso il ministro del lavoro, sembra possibile rimettere mano alle riforme Fornero senza pregiudizi ideologici o aprioristiche e grette preclusioni di cassa e ciò è apparentemente quello che il governo si accinge a fare.
Nel particolare della riforma Fornero e del gigantesco problema degli esodati che questa ha creato con imbarazzante leggerezza e preoccupante riottosità nell’ammetterlo il governo Letta sembra orientato a riprendere il testo della proposta di legge 5103 presentata nella precedente legislatura, apportando qualche modifica; una di queste sembra essere un sistema di penalizzazione legato all’andata in pensione anticipata rispetto ai 62 anni di età o ai 42 anni di anzianità contributiva.
Una delle penalizzazioni previste contempla la riduzione del 2% della quota retributiva dell’assegno pensionistico per ogni anno mancante nell’una o nell’altra voce e ciò sembrerebbe di una adamantina logicità in quanto ciascun anno di anzianità contributiva, nel calcolo retributivo, vale appunto il 2% della media delle retribuzioni degli ultimi 10 anni. C’è però un vizio molto ben nascosto e che i sostenitori della tesi che il sistema retributivo regalasse le pensioni si sono sempre guardati molto bene dal far emergere. La questione è che il “ricco” sistema retributivo garantisce – o meglio, garantiva, essendo stato definitivamente abolito – il 2% della retribuzione media decennale solamente fino a un reddito massimo di 43.000 euro/anno; da questa cifra in poi, il fattore percentuale diminuiva fino allo 0,9% a 81.500 euro/annui per poi rimanere tale. In parole povere ciò significa che un lavoratore con retribuzione superiore a 60.000 – 70.000 euro annui che fosse andato in pensione a 60 anni con 40 di anzianità lavorativa e con una aspettativa di vita di 80 anni, aveva poche probabilità di ricevere indietro i contributi versati e rivalutati, nonostante il sistema retributivo venisse propagandato come “ricco”.
Sarebbe pertanto non solo illogico, ma costituirebbe un inaccettabile ricatto, per certe fasce di reddito e di pensione, l’applicare una penalizzazione del 2% a un sistema di calcolo che dà lo 0,9%. Sembrerebbe logico che la penalizzazione venisse graduata per fasce di retribuzione, come lo è la pensione.
Sembra però che il ministro Giovannini sia anche intenzionato a colpire le così dette “pensioni d’”oro”, senza specificare il significato di questa definizione, cioè, in soldoni, quale è la soglia che fa definire d’oro una pensione. Giovannini non si è espresso; si sono invece espressi sia “Fratelli d’Italia” che il M5S, ventilando cifre limite di 4-5.000 euro o addirittura di 2.500 euro. Se le correnti di pensiero sono queste, non ci sarà da stupirsi se quel ricattino giocato sulle percentuali di cui parlavo prima verrà attuato e sono certo che molti gioiranno vedendo in ciò la giusta punizione di chi troppo ha guadagnato e troppa pensione vorrebbe; altri, meno ideologizzati, ci vedranno semplicemente una necessità di equilibrio; altri ancora, tra cui il sottoscritto, ci vedrebbero invece un preoccupante ulteriore passo per spostare risorse dalla previdenza all’assistenza e cioè nella direzione contraria a ciò che è necessario fare e incoraggiare.
E’ stato ripetutamente sottolineato – da parte degli stessi opinionisti e politici che si sono guardati bene dallo spiegare i meccanismi del retributivo – come fosse necessario spostare risorse dalle ingiustificate pensioni degli attuali anziani a quelle insufficienti – perché contributive – dei giovani. E’ invece necessario e onesto dire che le retribuzioni superiori a 60-70.000 euro all’anno già generavano risorse per le pensioni altrui sotto forma di contributi mai più ricevuti indietro e che il calderone dell’Inps destinava all’assistenza anziché accantonarli per la previdenza futura e come il sistema di penalizzazione a cui si accenna e un tetto a 4-5.000 euro/mese andrebbero ancora nella direzione completamente sbagliata, togliendo ulteriori risorse a chi già neppure ottiene indietro i propri contributi.
Se non meglio ponderate e esplicitate, sarebbero misure non eque e che andrebbero ad accentuare l’assistenzialismo che già ci piaga in varie forme.
Non sarebbe poi male se qualsiasi intervento fatto sulla previdenza lo fosse in piena trasparenza, spiegando molto bene come i sistemi di calcolo del sistema retributivo fossero già finalizzati a una ulteriore redistribuzione delle risorse a valle di un sistema fiscale già fortemente progressivo; purtroppo da questo tipo di spiegazioni si astengono rigorosamente Inps, Stato e media che avrebbero difficoltà a propagandare scelte quali quelle fatte con la riforma Fornero giustificandole con una inesistente equità. (Il Fatto quotidiano)
24 maggio 2013