Se il medico convezionato trattiene per sé l’intero importo della visita intramoenia commette il reato di peculato. Così la Corte di cassazione ha respinto – con la sentenza n. 27954/16, depositata ieri – il ricorso di un medico che appunto era stato condannato in primo e secondo grado per il reato di peculato.
La vicenda processuale
Nel caso specifico si era trattato dell’attività medica effettuata intramoenia in base alla convenzione con l’azienda sanitaria locale, ma svolta eccezionalmente nello studio privato del professionista. Infatti, temporaneamente i locali pubblici per espletare l’attività professionale in convenzione non erano disponibili, a causa di una ristrutturazione. Il medico – forse, “indotto” da questa circostanza – aveva di fatto riscosso l’onorario relativo alle visite intramoenia senza però successivamente versarne la metà alla Asl di competenza. Come di regola è tenuto a fare. Nonostante l’intera restituzione degli introiti illecitamente incamerati dal medico la Corte d’appello non ha cancellato la condanna, ma a ridotto in proporzione la pena. Con il ricorso per cassazione contro la sentenza di appello il medico ha fondamentalmente negato la propria imputabilità per un reato specifico, che presuppone appunto l’essere in possesso della qualifica di pubblico ufficiale. Qualifica che lui riteneva di non rivestire in alcun aspetto del suo rapporto con l’amministrazione sanitaria.
Il principio affermato
La Corte di cassazione ha confermato che il medico che svolge visite intramoenia non è un pubblico ufficiale. Restando pacifico che quella è attività professionale privata. Ma la Corte dà torto al ricorrente, accollandogli anche spese e ammende, perché sotto un profilo specifico il medico inatramoenia acquista tale qualifica pubblicistica: cioè quando entra in possesso di denaro che, anche se solo in quota parte, appartiene alla pubblica amministrazione. Quindi il medico convenzionato con l’Asl acquista il ruolo di pubblico ufficiale in relazione al denaro che riceve e che detiene con l’obbligo di riversarlo all’azienda sanitaria locale. E la sua appropriazione da parte del medico che legittimamente lo riceve fa scattare il reato di peculato per aver distratto quel denaro dalle casse e, quindi, dalle finalità pubbliche. Essendo pacifico che il medico non fosse un dipendente pubblico la Cassazione afferma, però, che acquista la qualità di pubblico ufficiale «al pari di qualunque dipendente pubblico che le prassi o le consuetudini mettano nella condizione di riscuotere e detenere denaro dell’amministrazione venendo in rilievo, non già l’attività professionale, ma la virtuale sostituzione del medico ai funzionari amministrativi nell’attività pubblicistica di riscossione dei pagamenti».
Il Sole 24 Ore sanità – 7 luglio 2016