Con la decisione del presidente del Consiglio di rinviare al 2016 le misure per la flessibilità del pensionamento, in legge di Stabilità il capitolo previdenza si riduce sostanzialmente a due voci: l’ultima salvaguardia per i lavoratori esodati non coperti dai sei interventi varati dal 2012 a oggi e la cosiddetta “opzione donna”.
Il primo intervento, secondo le indicazioni raccolte ieri, dovrebbe essere ritagliato sulla proposta meno allargata che era stata messa a punto in commissione Lavoro alla Camera e riguardare all’incirca 26mila soggetti. Si tratta dei profili di esodati già riconosciuti fino alla sesta salvaguardia dell’anno scorso (di cui vengono protratti i termini fino al 1° gennaio 2017) cui s’aggiungerebbero i mobilitati di aziende fallite e del settore edilizia. Sarebbero state molto filtrate, invece, le figure di quanti rivendicavano una salvaguardia avendo svolto entro il 2011 qualche periodo di assistenza (anche molto breve) a parenti inabili usufruendo della legge 104/1992. Si salirebbe in questo modo a 195mila soggetti tutelati complessivi, considerano i 170mila già coperti. Per la copertura finanziaria di questo intervento – che il Governo vuole considerare definitivo – verrebbe autorizzata una maggior spesa fino a 1 miliardo sul 2015 con proiezioni negli anni successivi, dopo la ricognizione che ha permesso di verificare gli effettivi minori impegni sul passato (anche se due delle sei operazioni di salvaguardia non sono però ancora concluse). L’impatto sui tendenziali c’è ma da un punto di vista contabile la manovra non dovrà reperire le risorse aggiuntive.
Dovranno invece essere coperte con la Stabilità 2016 i pensionamenti che si verificheranno con la conferma fino a fine anno dell’”opzione donna”, ovvero la possibilità di ritiro anticipato con 58 anni e 35 di versamenti per lavoratrici che maturino il requisito entro dicembre (la platea potenziale è di 30mila soggetti). Il costo di questo anticipo, per il quale scatta il ricalcolo integralmente contributivo dell’assegno, è di 160-170 milioni per l’anno venturo, che salirebbe fino a quota 2-2,2 miliardi cumulati entro il 2020. L’altra misura da finanziare in manovra (500 milioni circa) è per la ma maggiore spesa a regime determinata dal decreto adottato nel luglio scorso dopo la sentenza della Consulta che ha bocciato le indicizzazioni sulle pensioni superiori a tre volte il minimo.
La scelta di non introdurre alcun tipo di flessibilità generalizzata in manovra, nonostante la richiesta formale contenuta nelle risoluzioni di maggioranza che hanno accompagnato il via libera parlamentare alla Nota Def, ha naturalmente scatenato un fronte di reazioni polemiche nei confronti del Governo, soprattutto da parte dei sindacati. Sulle pensioni «non sono pronti? Potevano studiare di più evidentemente… è una classica narrazione dell’irrealtà» ha dichiarato Susanna Camusso (Cgil) per la quale in questo modo l’Esecutivo «dimostra che non c’è alcuna attenzione ad una emergenza, ad uno straordinario divario che riguarda il mondo del lavoro», anche per «le attese dei giovani» ed il conseguente sblocco del turnover. Sulla stessa linea Annamaria Furlan (Cisl): «Non si può rinviare al 2016 la contro riforma della riforma Fornero, abbiamo subito, già nella legge di stabilità, di un segnale importante, sarebbe una risposta per imprese, giovani e per tutti i lavoratori».
Critiche dall’opposizione (Fi, Lega e Movimento 5 Stelle) ma anche dall’interno della maggioranza, con Cesare Damiano (Pd), che ha parlato di «doccia fredda». «Rimandare al prossimo anno una misura più volte annunciata e attesa da decine di migliaia di lavoratori – ha dichiarato il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio – è, a mio avviso, un errore». A sostegno del rinvio dentro la maggioranza s’è espresso invece Enrico Zanetti, segretario politico di Scelta Civica: «Da Renzi sulle pensioni atteggiamento responsabile e consapevole che apprezziamo molto, in perfetta sintonia con la nostra linea».
Davide Colombo – Il Sole 24 Ore – 13 ottobre 2015