A fine maggio «Itinerari previdenziali», il think tank guidato da Alberto Brambilla, ha stimato che i 50mila pensionamenti con quota 100 previsti prima del Covid per il 2020 potrebbero ora raddoppiare proprio per via della crisi innescata sul mercato del lavoro. E altre 100mila uscite potrebbero a questo punto maturare anche nel 2021. L’anno scorso i pensionamenti con Quota 100 sono stati solo 150mila, un terzo in meno del previsto. Ma la spesa generata dall’insieme delle flessibilità introdotte con il decreto n. 4 del gennaio 2019 ha superato le previsioni: 6 miliardi contro i 3,9 previsti da governo per il primo anno. Secondo «Itinerari» a gonfiare i conti sono state le uscite anticipate con 42 anni di contributi, l’Ape sociale, le agevolazioni per i lavoratori precoci e ”Opzione Donna”.
Rispetto agli stanziamenti previsti fino al 2027 pari a 46,65 miliardi, prima del Covid-19 si stimava un costo effettivo tra i 27 e i 30 miliardi. Il ragionamento era semplice: poiché da quest’anno oltre il 70% dei potenziali pensionandi con anticipo avrà almeno il 60% della pensione calcolata con il metodo contributivo, la perdita rispetto a un pensionamento ordinario sarà come minimo del 10%. Dunque escludendo le situazioni di necessità la propensione all’anticipo per questi candidati sarebbe stato piuttosto basso. Ora quella propensione è saltata – secondo gli analisti di «Itinerari previdenziali» – visto che si dovrà fare i conti con una crisi che ha cancellato molti posti di lavoro. E i costi dei prepensionamenti torneranno a correre.
Della questione s’è discusso lunedì in un seminario organizzato dall’Inps, cui oltre ad Alberto Brambilla hanno partecipato il presidente dell’Istituto, Pasquale Tridico, e la sottosegretaria Maria Cecilia Guerra (Leu). A tenere banco sono state le diverse ipotesi di flessibilità per il dopo Quota 100 nel nuovo contesto pandemico e le necessarie garanzie da assicurare alle pensione contributive che prenderanno in un futuro molto prossimo lavoratori che hanno avuto carriere discontinue e stipendi molto bassi. Si è parlato, tra l’altro, della possibilità di coinvolgere i fondi bilaterali (finanziati con una aliquota dello 0,30-0,45% del costo del lavoro lordo) per sostenere parte dei nuovi anticipi. Si vedrà più avanti se la proposta entrerà nell’agenda politica d’autunno. Di sicuro in quell’agenda entreranno invece altre due voci, a loro volta destinate ad aumentare il rischio che la spesa cresca oltre il previsto. La prima riguarda le invalidità civili totali, che la Corte costituzionale il 24 giugno scorso ha deciso non possono restare ferme a 285,66 euro al mese. Si attende il testo della sentenza e il costo potrebbe andare ben oltre i 47 milioni stanziati con un emendamento al dl ”Rilancio”; fonti tecniche sono arrivate a stimare tra i 650 milioni e il miliardo.
Ultima tegola attesa entro ottobre è infine il pronunciamento della Consulta sul taglio alle pensioni d’oro voluto dal governo Conte 1: è scattato nel giugno del 2019 e riguarda 24mila pensionati con assegno superiore a 100mila euro lordi l’anno. In cinque anni il taglio varrebbe 415 milioni di risparmi in termini cumulati, ma se la Corte desse ragione ai ricorrenti quei risparmi non ci sarebbero più.
Davide Colombo