Tra i dipendenti pubblici spiccano i 103mila euro di pensione lorda percepita mediamente dai magistrati italiani. Oltre 5mila euro netti al mese – soprattutto di questi tempi – non sono certo pochi. Però, a ben guardare, mediamente i magistrati italiani lavorano fino ai 70 anni (dal 2015 non è più possibile restare in servizio fino a questa età) e versano contributi per circa 46 anni.
L’operazione trasparenza lanciata dal presidente dell’Inps Tito Boeri – premessa per la riforma delle pensioni che il governo ha intenzione di avviare a settembre per portarla in porto a dicembre con la legge di Stabilità – spalanca il vaso degli assegni delle toghe. Dopo statali, forze dell’ordine e trasporto aereo, l’Inps mette a disposizione i dati sulle retribuzioni pensionistiche dei nostri magistrati.
E tra le categorie analizzate dall’Istituto di previdenza forse le toghe sarebbero quelle che ci rimetterebbero meno da un eventuale riconteggio delle pensioni non più con il generoso sistema retributivo ma con quello retributivo. E infatti un eventuale ricalcolo contributivo delle pensioni porterebbe a un taglio medio di circa il 12%. Resta il fatto, però, che il 90% degli assegni sarebbero più magri con il contributivo. L’analisi della categoria evidenzia come al momento siano 10.200 i magistrati iscritti alla Cassa per i trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato (Ctps).
A dirla tutta la Ctps comprende tutti i dipendenti dello Stato, della scuola, dell’università e le forze armate per un totale di 1.581.000 iscritti, ed è «gestita contabilmente in maniera unitaria, senza evidenza separata per categorie di iscritti/pensionati. Pertanto», puntualizzano dall’Istituto, «non è possibile esporre alcun dato sulla situazione economica e patrimoniale dei soli dipendenti civili dello Stato appartenenti alla Magistratura». Insomma, non è dato sapere se i molti contributi versati rendano attiva l’eventuale gestione delle toghe. Visto che versano per moltissimi decenni, che vanno in pensione a tarda età, presumibilmente sì. Ma è appunto una presunzione non una certezza matematica o statistica.
Per quanto riguarda il sistema di calcolo della pensione per i magistrati, ricorda sempre l’Inps, fino al 31 dicembre 1992 la pensione era calcolata sulla base della retribuzione tabellare dell’ultimo giorno di servizio, maggiorata del 18% e non esistevano tetti retributivi.
«Rispetto ad altre categorie», sottolinea una nota dell’Istituto, «le riduzioni risultano più contenute in quanto l’età e l’anzianità media alla decorrenza, rispettivamente pari a circa 70 e 46 anni, sono più elevate rispetto al complesso delle pensioni dei dipendenti pubblici e l’età non incide sul calcolo della pensione retributiva ma solo su quella contributiva, mentre l’anzianità, che incide su entrambi i calcoli, nel sistema contributivo viene valorizzata totalmente».
Eppure anche l’eventuale ricalcolo pensionistico darebbe una bella spazzolata anche a questi redditi “importanti”. Lo stesso ente previdenziale fornisce qualche esempio: un magistrato di Cassazione pensionato nel 2008 con 64 anni di età e 37 di anzianità, titolare di pensione lorda mensile 2015 pari a 9.755 euro, con il ricalcolo avrebbe una riduzione della prestazione pari a 2.735 euro mensili; mentre un pensionato nel 2008 con 70 anni di età e 46 di anzianità, titolare di pensione lorda mensile 2015 di 11.762 euro, con il ricalcolo avrebbe una riduzione della prestazione pari a 1.367 euro mensili.
Resta ora da vedere se questa operazione “trasparenza” fortemente voluta da Boeri farà da premessa agli interventi che il governo vorrebbe attuare. Con quasi 254 miliardi di spesa pensionistica/assistenziale all’anno (dati 2014), le pensioni rappresentano una delle prime voci di uscita. Evidente che il governo voglia aggredirla. Però oltre la metà dei trattamenti (18 milioni) è sotto i mille euro. Anche se fiscalmente spremere i poveri è l’attività più remunerativa come gettito. I ricchi sono troppo pochi per assicurare incassi sostanziosi…
13 giugno 2015