Tito Boeri tira dritto, nonostante a Palazzo Chigi siano estremamente cauti rispetto a qualsiasi ipotesi di contributo di solidarietà sulle pensioni alte. Ieri, il presidente dell’Inps ha diffuso la terza puntata dell’«operazione trasparenza».
Come le precedenti, che hanno riguardato il fondo volo e i dirigenti d’azienda, il fine è dimostrare quanto costino ancora adesso alla collettività i regimi speciali che, almeno fino al 1993, hanno accordato a una serie di categorie trattamenti previdenziali particolarmente generosi. Ieri è toccato al fondo delle Ferrovie dello Stato. Se le pensioni di questa gestione fossero ricalcolate con il metodo contributivo (importo corrispondente ai versamenti di tutta la vita lavorativa, come avviene per tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 1995), nel 96% dei casi subirebbero un taglio «e più di una pensione su 4 una riduzione superiore al 30%».
Nella scheda pubblicata sul sito dell’istituto si legge che il disavanzo del fondo Fs è aumentato di anno in anno, passando da 2,1 miliardi di euro nel 2000 a 4,2 miliardi nel 2013. Un deficit che è «a carico del bilancio dello Stato».
I ferrovieri assunti dopo il primo aprile 2000 vengono iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti, ma il vecchio fondo speciale paga ancora 151 mila pensioni di vecchiaia e di anzianità con un importo medio di 25 mila euro lordi, oltre a 1.400 assegni di invalidità e 67 mila di reversibilità. Fino al 31 dicembre 1992 alcune categorie di ferrovieri potevano andare in pensione di vecchiaia a 58 anni di età e 25 di contribuzione. Inoltre venivano riconosciute maggiorazioni dei periodi contributivi, per esempio al personale viaggiante e di macchina (20 anni venivano conteggiati come 22). Ma il regime di maggior favore riguardava la pensione di anzianità, che si maturava con appena 19 anni, 6 mesi e un giorno di contributi a prescindere dall’età. Per le donne con figli bastavano 14 anni, 6 mesi e un giorno. Dopo il 1992 tali requisiti sono stati gradualmente equiparati a quelli Inps. Fino al 31 dicembre ‘92 la pensione era calcolata sulla retribuzione base dell’ultimo giorno di servizio maggiorata del 18%. Anche le pensioni liquidate dopo sono state calcolate col retributivo pieno per i lavoratori che avevano almeno 18 anni di versamenti mentre per gli altri col sistema misto (retributivo e contributivo). Non c’è dunque da stupirsi se le pensioni in pagamento, ricalcolate interamente col contributivo, risulterebbero nel 96% dei casi più basse. Anche se liquidate recentemente. Per esempio, dice l’Inps, un ferroviere andato in pensione nel 2013 a 63 anni con 3.525 euro lordi al mese prende 335 euro in più di quanto avrebbe preso col contributivo puro.
Il Corriere della Sera – 4 aprile 2015