Nel giorno in cui la sentenza della Consulta sulle pensioni viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale, il governo ha trovato il modo per disinnescare la mina che farebbe saltare il bilancio dello Stato. Al momento il piano elaborato da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan rimane custodito nelle stanze del Tesoro e Palazzo Chigi, ma qualcuno ne è a conoscenza anche a Bruxelles e informalmente lo avrebbe già promosso. Perché il piano diventi operativo, e pubblico, sarà però necessario pazientare ancora qualche settimana, fino ai primi di giugno.
Il dato di partenza fa tremare i polsi. L’altro ieri sulle scrivanie di Via XX Settembre sono arrivati i calcoli definitivi della Ragioneria generale sul costo della sentenza che ha bocciato lo stop all’indicizzazione delle pensioni superiori ai 1.490 euro dal 2012: 19 miliardi lordi. Una botta che farebbe crollare l’impianto di finanza pubblica in un solo colpo visto che la posta non può essere spalmata sugli anni scorsi, almeno per i rimborsi dal 2012 come inizialmente sperava il governo, ma impatterebbe tutta sui conti 2015. Con 19 miliardi di aggravio quest’anno il deficit schizzerebbe al 3,9% del Pil. Un dato che porterebbe l’Italia dritta al commissariamento europeo tramite procedura per deficit eccessivo e capace di mandare in tilt i mercati. Per questo il governo ha ormai deciso che non pagherà il 100% del dovuto. E lo farà con decreto. Ma non subito.
Bruxelles inizialmente pretendeva che Roma trovasse una soluzione prima di mercoledì prossimo, giorno nel quale la Ue pubblicherà le raccomandazioni sull’Italia. Nei negoziati informali condotti dal Tesoro nei giorni scorsi è emerso il compromesso: la soluzione l’Italia la presenta subito, tramite canali riservati, ma verrà attuata più avanti. Il perché ha una ragione politica che Bruxelles sembra avere compreso: il governo vuole evitare che la campagna elettorale per le regionali del 31 maggio viri tutta sulle pensioni. Ecco perché il provvedimento arriverà nella prima settimana di giugno. Al momento si pensa a un Consiglio dei ministri mercoledì tre. Intanto il ministro il governo vuole evitare che la campagna elettorale per le regionali del 31 maggio viri tutta sulle pensioni. Quindi, per rassicurare ulteriormente Bruxelles e mercati, prima di mercoledì, giorno delle raccomandazioni, il governo con una dichiarazione ufficiale (probabilmente contenuta in una lettera alla Commissione) si impegnerà a risolvere la grana pensioni restando sotto il tetto del 3%.
Non a caso nelle sette raccomandazioni sull’Italia di mercoledì prossimo non ci dovrebbero essere bordate sui conti, con la Commissione che oltre a promuovere le riforme dirà che il bilancio regge limitandosi a emettere un warning sulle pensioni e annunciando che monitorerà la situazione. Il minimo sindacale in una situazione del genere. Oltretutto dovrebbe concedere all’Italia una flessibilità per il 2015 di 5 miliardi rispetto agli obiettivi di bilancio iniziali. Una cifra tutt’altro che casuale. Il governo infatti dei 19 miliardi intende pagarne solo 4. Saranno tutti caricati sul deficit 2015 (ecco il perché della flessibilità accordata da Bruxelles). La parte dei pagamenti relativi al futuro sarà di 2,5 miliardi e farà salire il deficit nominale dal 2,6 al 2,8%. Dunque al disotto del 3%. La parte dei rimborsi per il passato sarà di 1,5 miliardi ed essendo considerata una tantum si scaricherà sul deficit strutturale, che salirebbe dallo 0,5 allo 0,6%. Una deviazione dagli obiettivi di bilancio tutto sommato lieve che Bruxelles sarebbe pronta a tollerare.
Come il governo intenda saldare solo 4 miliardi è presto detto: ieri la Consulta ha precisato che la sentenza è esecutiva, ma che l’esecutivo può intervenire per legge. E la stessa sentenza della Corte si richiama alla progressività, suggerendo la via all’esecutivo. A titolo esemplificativo cita una misura della finanziaria 2014 del governo Letta: sarebbe corretto pagare “il 95% (del dovuto, ndr) per i trattamenti superiori a tre volte quello minimo, il 75% oltre le quattro volte, il 50% per quelli oltre cinque volte e pari o inferiori a sei volte il minimo”. Il governo intende questo passaggio un suggerimento sul metodo, la progressività, e un esempio sulle quote, che non ritiene vincolanti. Per questo l’idea che prevale al momento è prendere le percentuali citate dalla Corte e dimezzarle, o giù di lì. E così si arriverebbe a contenere la spesa a 4 miliardi. Significa che chi prende una pensione sotto ai 1.500 euro continuerà a prendere l’indicizzazione piena, dai 1.500 ai 2.000 prenderebbe intorno al 50%, dai 2.000 ai 2.500 poco più del 35%, dai 2.500 ai 3.000 intorno al 25%. Dal tetto dei tremila euro invece l’indicizzazione non verrà né rimborsata per il passato né concessa in futuro. Il governo è convinto che la soluzione possa reggere, ma nessuno può escludere nuovi ricorsi alla Corte. Ma da questo punto di vista confortano il testo della sentenza e la spaccatura registrata in seno alla Consulta lo scorso 30 aprile, con il testo che è passato con un solo voto di scarto. La convinzione è che in un eventuale futuro giudizio le proporzioni, quanto meno, si invertiranno.
Repubblica – 8 maggio 2015