La pensione mette d’accordo, nel senso che scontenta quasi tutti. Chi già la percepisce, perché ha dovuto subire il congelamento della rivalutazione (comunque minima) dell’assegno e magari anche l’introduzione del contributo di solidarietà. Chi la considerava ormai a portata di mano, ma per effetto della riforma del 2011 l’ha vista allontanarsi anche di diversi anni (esodati ma non solo). Chi in pensione ci dovrà andare tra un po’ di anni e, quale effetto dell’adeguamento dei requisiti all’aspettativa di vita, quasi sicuramente vedrà il traguardo spostarsi sempre più in là con il trascorrere del tempo. I requisiti necessari per smettere di lavorare e incassare l’assegno previdenziale sono definitivi solo per quest’anno e l’anno prossimo. Per la pensione di vecchiaia si oscilla, nella generalità dei casi, da 63 anni e nove mesi a 66 anni e tre mesi.
Per accedere a quella anticipata, le donne devono aver versato 41 anni e sei mesi di contributi, gli uomini un’annualità in più.
Dal 2016 i valori elaborati finora e riportati in pagina dovranno essere adeguati alla speranza di vita rilevata dall’Istat e così avverrà con cadenza triennale e poi biennale. Inoltre, in base a quanto prevedono le norme, i requisiti minimi non potranno essere ridotti anche se l’aspettativa diminuirà. Al netto di ulteriori aggiornamenti, età o anni di contribuzione aumenteranno di un anno ogni decennio.
Ma, oltre che con la variabilità dei requisiti, si deve fare i conti con l’importo dell’assegno 7 Il meccanismo che lega l’età pensionabile alla speranza di vita è stato introdotto nel 2009 con prima applicazione nel 2015. Per effetto di successivi interventi normativi, l’applicazione è stata anticipata al 2013. Tale meccanismo prevede che i requisiti richiesti per la pensione varino con l’incremento degli anni di vita previsti. La prossima verifica avverrà nel 2016, poi nel 2019 e quindi con cadenza biennale che si incasserà. Conclusa l’epoca del sistema retributivo, per cui la pensione era rapportata alle ultime annualità di stipendio, con il contributivo si incasserà in base a quanto si è versato durante la vita lavorativa, quanto tale importo si è rivalutato e all’anno di pensionamento. Ciò significa che chi avrà una carriera regolare e magari si tratterrà al lavoro oltre i minimi potrà arrivare a un tasso di sostituzione anche dell’80%. Mentre chi alternerà impiego e disoccupazione rischia di avere un assegno di importo ridotto.
Una prospettiva che accomuna lavoratori dipendenti e autonomi e che si può contrastare, risorse permettendo, ricorrendo alla previdenza complementare, che consente di alzare il tasso di sostituzione anche di 10-15 punti percentuali.
REQUISITI CONTRIBUTIVI E ANAGRAFICI
Trattamento anticipato con 42 o 41 anni e mezzo
L’aumento dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione è alla base della riforma Monti-Fornero. Dal 2014 la pensione anticipata (ex 40 anni) si consegue con 41 anni 6 mesi per le donne e 42 anni e 6 mesi per gli uomini. Nei confronti dei soggetti con almeno diciotto anni di contributi alla fine del 1995, le quote di pensione riferite alle anzianità contributive maturate dopo il 2011 sono calcolate con il sistema contributivo. Al fine di scoraggiare l’uscita dal mondo del lavoro con età inferiori a 62 anni sono state introdotte delle penalità pari all’1% per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni, che salgono al 2% per ogni ulteriore anno rispetto ai 60 anni. In via transitoria e fino al 31 dicembre 2017, il Dl 216/2011 ha previsto che le decurtazioni non si applicano qualora l’anzianità contributiva considerata derivi da prestazione effettiva di lavoro o altre situazioni specifiche (si veda il quesito a fianco). Per evitare la penalizzazione il lavoratore dovrà ritardare il pensionamento in modo da maturare il requisito contributivo pieno richiesto dalla norma.
Se il lavoratore non dovesse raggiungere tali parametri, potrà accedere alla pensione con il requisito anagrafico 66 anni 3 mesi e almeno venti anni di contributi. I soggetti contributivi puri possono accedere alla pensione anche a 70 anni ma con almeno cinque anni di contributi.
Regole particolari si applicano ai dipendenti del pubblico impiego (si veda anche a pagina 28), che cessano obbligatoriamente al compimento dei 65 anni (limite ordinamentale) se a tale data hanno già maturato un qualsiasi diritto a pensione. Pertanto coloro che hanno perfezionato la quota “96” entro il 31 dicembre 2011 oppure entro la stessa data avevano maturato i 40 anni di contributi e l’ente non ha provveduto alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, oppure le donne nate entro il 1950 e che hanno perfezionato anche i requisiti contributivi richiesti, dovranno tassativamente lasciare il lavoro al compimento del 65esimo anno di età, non potendo rimanere in servizio fino ai nuovi limiti neppure su opzione. L’eventuale perfezionamento del solo requisito contributivo per la pensione anticipata successivamente ai 65 anni comporta comunque la risoluzione del rapporto di lavoro prima del compimento dell’età anagrafica prevista per la pensione di vecchiaia.
Determinate tipologie di lavoratori accedono alla pensione di vecchiaia con requisiti diversi, stante la specificità dei propri ordinamenti, come i professori universitari che vanno in pensione di vecchiaia a 70 anni, mentre le lavoratrici con qualifica di personale viaggiante a 58 anni 9 mesi. Il decreto Salva Italia non ha interessato le altre tipologie di pensione. Pertanto per le inabilità rimane fermo il requisito dei cinque anni di contributi di cui tre accreditati nell’ultimo quinquennio. Nel pubblico impiego l’inabilità alla mansione si consegue con almeno venti anni di contributi, mentre quella a qualsiasi tipo di lavoro proficuo con quindici anni.
OPZIONE 57 ANNI
A dicembre ultima possibilità per le donne
Conto alla rovescia per le lavoratrici interessate all’opzione donna. Infatti il regime sperimentale che consente l’accesso alla pensione di anzianità con 35 anni di contributi e 57 di età (58 per le autonome) – accettando però un assegno calcolato con il sistema contributivo – sta per scadere.
Secondo le indicazioni fornite dall’Inps, e in assenza di una proroga della norma, il termine del 31 dicembre 2015 deve essere inteso quale giorno in cui risultano perfezionati sia i requisiti anagrafici sia quelli contributivi nonché quello della finestra mobile di 12 mesi (18 per le autonome). Dal 2013, il requisito anagrafico è stato incrementato di tre mesi a causa dell’adeguamento legato alla speranza di vita. Poiché nel settore privato la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione di tutti i requisiti previsti, ne consegue che per le lavoratrici autonome, il termine utile per il requisito anagrafico di 58 anni 3 mesi è già scaduto (lo scorso mese di maggio) mentre la scadenza per le dipendenti del settore privato è fissata alla fine di novembre (nate entro il 31 agosto 1957).
Tempi leggermente più lunghi per le lavoratrici del pubblico impiego le quali, grazie alla specificità dell’ordinamento ex Inpdap che consente di accedere alla pensione anche il giorno seguente rispetto alla data in cui risultano perfezionati tutti i requisiti, hanno tempo fino al 30 dicembre 2014 (nate entro il 30 settembre 1957). Dal 2009 a oggi oltre 20mila lavoratrici hanno aderito e il legislatore ha cercato di posticipare il termine del 2015 ma la Ragioneria generale dello Stato è di avviso contrario, causa la mancanza di coperture.
TASSO DI SOSTITUZIONE
Per i giovani c’è il rischio di assegni troppo magri
L’importo dell’assegno previdenziale per chi è soggetto interamente al sistema contributivo potrà variare anche in modo consistente rispetto all’ultima retribuzione percepita, per effetto di diversi fattori. I 20-40enni di oggi potranno ritrovarsi con un tasso di sostituzione netto (rapporto tra la pensione e l’ultima retribuzione netta) compreso tra il 40 e l’80 per cento. Nella migliore delle ipotesi, quindi, saranno allineati alle pensioni erogate in base al sistema retributivo, nella peggiore incasseranno la metà.
Con il sistema contributivo si prendono in considerazione i versamenti effettuati durante tutta la vita di un individuo. Quindi diventa importante iniziare a versare presto e con continuità. In compenso, proprio perché viene preso in considerazione un periodo contributivo ampio, risultano più penalizzate rispetto al retributivo le carriere caratterizzate da promozioni nella parte finale.
Ma oltre a questi fattori, che in buona parte dipendono dalle scelte individuali, ce n’è un altro, di tipo macroeconomico, che può incidere in modo significativo. Si tratta della variazione del prodotto interno lordo dell’Italia, a cui è agganciata la rivalutazione del montante contributivo. La differenza di un punto percentuale del tasso di crescita medio nel lungo periodo può incidere anche del 20% sull’importo della pensione.
Tenuto conto di queste considerazioni, le stime effettuate dalla Ragioneria generale dello Stato vanno prese come elemento di riferimento, consapevoli che la situazione reale nel lungo periodo potrebbe essere sensibilmente diversa. Infatti, le proiezioni effettuate quest’anno ipotizzano una crescita media del Pil da qui al 2060 dell’1,5%, ma è cronaca di questi giorni che la crisi continua a farsi sentire. Quindi il tasso di sostituzione netto del 69,1% previsto per un dipendente che andrà in pensione nel 2050 con 36 anni di contributi potrebbe essere inferiore. A conferma dell’importanza del numero di anni di contribuzione, si tenga presente che lo stesso individuo, andando in pensione con 42 anni di contributi, incasserebbe il 79% dello stipendio.
Meno incerta è la situazione per chi è più vicino al pensionamento. Sempre in base alle elaborazioni della Ragioneria generale dello Stato, i dipendenti che si ritireranno nel 2020 con 36 anni di contributi e il minimo di anni di età potranno contare su un tasso di sostituzione del 73,6%, mentre un autonomo avrà il 69,7 per cento.
L’ASSEGNO DI SCORTA TRA FONDI, POLIZZE E CONVENIENZA FISCALE
Ci sono due parole da mandare a memoria per capire il pianeta pensioni: contributivo, che è anche la parola chiave di questa pagina, e sostituzione. Il primo termine è quello più rivoluzionario. Negli anni 90, il legislatore italiano ha modificato il sistema pensionistico. Si è passati dal retributivo al contributivo. Che vuol dire? In passato le pensioni venivano calcolate sulla base delle ultime retribuzioni incassate. Oggi non è più così. Coloro che lasceranno il lavoro con il contributivo, potranno contare su una pensione costruita sulla base dei versamenti effettuati nel corso dell’intera vita lavorativa; per questo calcolo ci sono poi altri elementi che entrano in gioco (Pil e demografia) ma sono fattori fuori dalla discrezionalità del singolo cittadino/lavoratore. Per chiarirsi le idee in modo definitivo, c’è l’immagine del salvadanaio previdenziale, il classico “porcellino” che va riempito per una tranquilla vecchiaia.
La pensione obbligatoria, però non è più sufficiente. E qui c’è da spiegare la parola sostituzione o per la precisione il “tasso di sostituzione”: è il rapporto fra la prima rata che verrà incassata in pensione e l’ultimo stipendio percepito. «Avere un’idea, fin da quando inizi a lavorare, di quanto sarà il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria è importante per valutare se la tua pensione potrà garantirti un tenore di vita adeguato», ci ricorda l’authority della previdenza, Covip, nel suo sito istituzionale ( www.covip.it). Allora andiamo nel concreto. Dalla guida Covip, che consigliamo a tutti di consultare, prendiamo l’esempio del signor Rossi, giovane lavoratore dipendente che entra per la prima volta nel mercato 7 Il sistema contributivo, negli anni 90, ha rivoluzionato il pianeta previdenziale italiano. Le pensioni ora vanno calcolate sulla base dell’ammontare dei contributi versati durante tutta la vita lavorativa e non più sulle ultime retribuzioni percepite. Ecco perché è fondamentale per le nuove generazioni iscriversi subito a una forma previdenziale complementare così da integrare la futura pensione del lavoro e andrà a riposo dopo il 2040 con una pensione pari al 60% dell’ultimo stipendio lordo; viene ipotizzata una figura-tipo di lavoratore con 67 anni di età, 37 anni di contributi versati senza interruzioni. Per i lavoratori autonomi i tassi di sostituzione sono ancora più bassi, intorno al 40%.
È per colmare questo “vuoto” che diventa necessario usare strumenti di previdenza integrativa: fondi pensione (negoziali, aperti, preesistenti) o pip, i piani di previdenza pensionistici agganciati a prodotti assicurativi. In basso vi spieghiamo come effettuare la scelta. Sono da considerare soprattutto i costi e in questo ambito la Covip viene in aiuto dando indicazioni attraverso l’Isc, l’Indice di sintetico dei costi. Mentre per il tasso di sostituzione si può consultare anche il “calcolatore” sul sito www.sole24ore.com.
Il Sole 24 Ore – 15 agosto 2014