Roberto Mania. «Il titolo c’è ma manca ancora il copione», dicevano ieri i tecnici del ministero del Lavoro. Sintesi efficace per spiegare che sì il governo vuole introdurre un po’ di flessibilità nei pensionamenti ma non sa quale strada prendere. E forse potrebbe continuare a non imboccarne alcuna. Perché se finora non è stato fatto (nonostante i tanti annunci) è perché costa troppo (dai quattro ai dieci miliardi, a seconda delle ipotesi) e le condizioni della finanza pubblica non permettono strappi tanto più che l’Italia sta già usando tutte le possibili clausole di flessibilità (riforme, investimenti, migranti) consentite dagli accordi europei, sul versante del deficit. E questa partita — come ha detto ieri, nell’intervista a Repubblica, il presidente dell’Inps, Tito Boeri — si gioca con la Commissione europea. Senza il via libera di Bruxelles la possibilità di rendere flessibile il pensionamento (ha un impatto immediato sul deficit che si compensa solo nel tempo lungo) sarà praticamente pari a zero.
Salvo tentare altre soluzioni, reperendo cioè le risorse con tagli e dunque correndo un forte rischio politico. Oppure accontentarsi di una soluzione- light: quella del prestito pensionistico nella doppia versione: pubblico o aziendale. Una mini-flessibilità, comunque. Con scarso appeal per il sistema delle imprese e dal percorso assai tortuoso.
L’AUMENTO DELL’ETA’
Ma andiamo con ordine. L’età pensionabile è arrivata quasi per tutti a 66 anni e sette mesi per effetto del mix riforma Fornero e riforma Tremonti-Sacconi, che in precedenza aveva inasprito i criteri per l’accesso al pensionamento collegandoli automaticamente e periodicamente (ogni tre anni) all’aspettativa di vita. Dunque, salvo poche eccezioni (per esempio si può lasciare il lavoro dopo aver maturato almeno 42 anni e mezzo di versamenti contributivi), il momento del pensionamento è oggi rigido e legato esclusivamente all’età. Quasi una contraddizione nel sistema contributivo che dovrebbe essere di per sé flessibile visto che l’importo della pensione che si matura dipende dall’ammontare dei contributi che si versano nel corso degli anni lavorativi: più versi, più ricevi. L’introduzione del sistema pensionistico contributivo è stato accompagnato infatti dalla flessibilità in uscita attraverso, per esempio, il meccanismo delle quote (somma tra età anagrafica e anni di contribuzione). L’intervento legislativo del 2011, sotto la pressione dell’emergenza finanziaria, ha però irrigidito tutto il modello provocando il fenomeno dei cosiddetti esodati (la settima salvaguardia è stata varata con l’ultima legge di Stabilità) ma anche determinando un mutamento di rilievo (aggravato dalla nostra doppia recessione) nella composizione del mercato del lavoro con il tasso di occupazione degli over 50 in crescita e con le classi più giovani bloccate. Questo — anche se bisogna riconoscere che la riforma garantirà risparmi strutturali nell’ordine di 80 miliardi in un decennio — ha impedito un ricambio del capitale umano nelle aziende dotate di una forza lavoro più anziana con effetti negativi anche sulla produttività, che, non da oggi, è la grave malattia dell’Italia produttiva.
IL PRESTITO
È la soluzione meno onerosa per le casse pubbliche. Nella versione del prestito pensionistico aziendale potrebbe essere neutra per lo Stato. Ed è questa una delle ipotesi sulle quali stanno ragionando i tecnici in vista un eventuale intervento. L’azienda verserebbe i contributi ai lavoratori poco distanti (tre-quattro anni) dall’età pensionabile e anticiperebbe anche una parte dell’assegno pensionistico. Un onere sopportabile solo dalle imprese con eccesso di liquidità. Cioè pochissime. A meno di ricorrere al sistema bancario il quale però chiederebbe probabilmente una garanzia pubblica che verrebbe vista da Bruxelles come spesa statale mascherata. Diverso il prestito pubblico. Era già stato affacciato dal ministro del Lavoro del governo Letta, Enrico Giovannini. È stata presentata anche una proposta di legge da due senatori pd (Carlo Dell’Aringa e Giorgio Santini): per i lavoratori distanti al massimo cinque anni dalla pensione e che hanno perso il lavoro sarebbe possibile ottenere un prestito di circa 760 euro al mese che verrebbe poi restituito a rate.
ANTICIPO CON PENALITA’
Questo è lo schema classico per il pensionamento flessibile. In cambio di un anticipo della pensione il lavoratore riceve un assegno penalizzato con il crescere della distanza dall’età pensionabile. È la filosofia della proposta dell’Inps ed è anche il cuore della proposta Damiano-Baretta (entrambi pd). Quest’ultima prevede la possibilità per un lavoratore che abbia compiuto almeno 62 anni e ne abbia 35 di contributi di andare in quiescenza con una penalizzazione massima dell’8 per cento. Proposta costosa (dagli 8 ai 10 miliardi), secondo alcuni; ma secondo i proponenti, farebbe risparmiare perché l’aumento della spesa nel breve periodo verrebbe largamente compensato dall’abbassamento dell’assegno nel lungo periodo.
Repubblica – 18 febbraio 2016