Arriva dal Tribunale di Firenze quella che è forse la prima sentenza di merito che respinge un ricorso dei precari della scuola per ottenere la stabilizzazione, dopo la “sentenza Mascolo” resa il 26 novembre 2014 dalla Corte di giustizia Ue. Sinora le pronunce adottate dai giudici del lavoro sono state in genere di accoglimento, con soluzioni varie: dalla costituzione del contratto di lavoro a tempo indeterminato (Tribunale di Napoli, n. 528/15), a varie mensilità a titolo di risarcimento (Tribunale di Roma, n. 12452/14).
Tuttavia non è detto che la sentenza fiorentina (datata 11 febbraio 2015, relatore il presidente Rizzo) costituisca un precedente sicuramente negativo per la generalità dei ricorrenti: sembra basarsi sulla specifica prospettazione del ricorso. Dopo aver ricordato che l’articolo 4 della legge 124/99 prevede la differenza tra posti vacanti e disponibili (supplenze sino al 31 agosto), posti non vacanti ma disponibili (supplenze al 30 giugno) e supplenze “brevi” per sostituzioni temporanee, la sentenza afferma che l’articolo 4 non può ritenersi abrogato dal Dlgs 368/2001 (per il principio di specialità della normativa scolastica), ma sostiene anche di non condividere quanto affermato dalla Cassazione (sentenza 100127/2012) in merito al fatto che la normativa scolastica sarebbe un corpus speciale “impermeabile” rispetto alla disciplina generale di cui al Dlvgs 368/2001.
Al contrario, secondo il Tribunale, l’articolo 4 va considerato come parte del corpus normativo generale in materia di contratto a termine. Ne consegue l’applicabilità al settore dell’insegnamento dell’articolo 5, comma 4-bis, del Dlgs 368/2001 (che sanziona la successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenticheabbianocomplessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi) e dell’articolo 36 del Testo unico165/2001(cheprevedeilrisarcimento del danno) in caso di violazione dello stesso articolo 5, comma 4-bis, del Dlgs 368/2001.
In definitiva, è quest’ultima norma che garantisce in ogni caso anche nel settore scolastico il raggiungimento da parte dello Stato dell’obiettivo generale di prevenzione degli abusi a cui la clausola comunitaria mira.
La sentenza respinge il ricorso (solo) perché il ricorrente non ha basato la propria domanda sulla violazione dell’articolo 5, comma 4-bis, né ha allegato i fatti integranti tale fattispecie (successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti che abbiano complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, con violazione del disposto normativo alla stipulazione del primo contratto che abbia superato tale limite dopo l’entrata in vigore della legge 247/2007). Invece, nel ricorso si è lamentato solo il fatto che l’apposizione del termine ai contratti dell’interessato sia priva di adeguate motivazioni e posti in essere con l’intento di coprire carenze di personale su posti vacanti. Da questo punto di vista, la sentenza ritiene invece che i contratti al 30 giugno riportino la ragione che ha determinato l’assunzione e rientrino in ipotesi legittimanti il ricorso al contratto a termine.
La sentenza sembra discostarsi sul punto da altre precedenti: ad esempio quella del Tribunale di Chieti (n. 726/14) che respinge la tesi secondo cui la Corte Ue avrebbe affermato l’illegittimità della reiterazione solo per i posti vacanti e disponibili. Ma anche il giudice abruzzese, nella motivazione, afferma che «il discorso non muta per il solo fatto che alle supplenze si sia fatto ricorso per coprire posti non vacanti ma resisi disponibili entro il 31 dicembre, essendosi anche in questo caso verificato il ricorso alla successiva stipulazione di contratti a termine per soddisfare esigenze del tutto paragonabili a quelle sottese alle supplenze annuali e in ogni caso di carattere permanente e non meramente temporaneo».
Il Sole 24 Ore – 26 febbraio 2015