I PFAS… avanti nel limitare l’esposizione alimentare ai composti per- e poli-fluoroalchilici: anche i composti a catena corta possono avere rilevanza tossicologica e comportano una revisione dei livelli di contaminazione riscontrati nelle matrici di interesse alimentare e l’adozione di politiche di riduzione nell’impiego e rilascio ambientale dei PFAS nei principali settori di utilizzo.
SOMMARIO
In attesa delle opinioni EFSA sui PFAS per quanto riguarda i valori guida rilevanti per la salute (HBGVs), l’Istituto di Sanità Olandese esprime una opinione sulla tossicità cumulativa dei principali PFAS presenti nelle acque e negli alimenti, estendendo il rischio anche ai composti a catena corta, ritenuti fino ad oggi di scarsa rilevanza tossicologica, sebbene presenti nel cibo, considerando l’ingrossamento del fegato quale principale effetto tossico comune. Nel contesto di un generale indirizzo alla riduzione/sostituzione nell’impiego dei PFAS nei settori manufatturieri tessile, carta e materiali a contatto con alimenti, e schiume antincendio, il Parlamento Europeo emenda il limite alla presenza dei PFAS totali nelle acque potabili, ponendolo a 500 ng/L. Considerando che nei corpi idrici la percentuali dei PFAS dosabili può rappresentare solo il 10% del fluoro organico totale presente, tale limite di fatto rappresenta uno stimolo per l’adozione di politiche di riduzione dell’impiego di tutti i PFAS. La valutazione tossicologica dei PFAS a corta catena in chiave cumulativa rispetto agli apporti di PFOS e PFOA porta a ri-considerare le evidenze dello studio di biomonitoraggio umano negli allevatori e nei gruppi esposti, e porta alla richiesta dei dati sulla contaminazione alimentare verificata dall’Istituto Superiore di sanità su 12 PFAS, ma resa di pubblico dominio solo per PFOS e PFOA in via preliminare.
UN LIMITE AI PFAS TOTALI NELL’ALIMENTO-ACQUA
Il Parlamento Europeo ha recentemente emendato la proposta della Commissione di revisione dei limiti massimi di inquinanti nelle acque potabili. Con la formula CnF2n+1-R si comprendono tutti i 4730 composti organici del fluoro-PFAS inventariati dall’OCSE, e per la cui somma viene posto un limite massimo di 500 ng per litro di acqua. Sul singolo composto PFAS il limite da non superare è di 100 ng per litro.
Tale limite riferito alla somma totale dei PFAS risulta alquanto restrittivo, tenendo conto che i metodi di analisi più avanzati oggi evidenziano come i composti per- e poli-fluorurati conosciuti e determinabili nelle acque possono rappresentare solo il 10% del fluoro organico totale, probabilmente presente in forma di polimeri ad alto peso molecolare. Tali polimeri costituiscono la vera riserva ambientale di PFAS ancora non conosciuta – la parte immersa dell’iceberg – e per azione dei raggi ultravioletti, o per reazioni chimiche di ossidazione proprie di alcuni impianti di depurazione, possono dare origine ai PFAS a media-corta catena, tra cui il PFOS e PFOA sono i più noti per le proprietà tossicologiche.
Soprattutto i PFAS a corta catena (? 6 atomi di Carbonio) sono biodisponibili, e si trasferiscono più facilmente dal comparto ambientale, a quello alimentare, con particolare riferimento agli ortaggi, verdura in foglia e in qualche caso frutta. Ricordiamo che l’acqua è da considerare a tutti gli effetti un alimento e l’Agenzia Federale per l’Ambiente Tedesca UBA ha già espresso preoccupazione per i trend in aumento della concentrazione dei PFAS a corta catena nell’acqua.
L’AGENZIA DI SICUREZZA ALIMENTARE OLANDESE FA “PFAS AVANTI” RISPETTO A EFSA
In tale contesto, l’Istituto di sanità pubblica olandese RIVM ha ritenuto opportuno pubblicare una opinione che funge da riferimento tossicologico l’esposizione contemporanea ai PFAS maggiormente conosciuti e caratterizzati da un punto di vista tossicologico per la capacità di determinare un ingrossamento del fegato. In tale contesto, i PFAS a corta catena sono ritenuti rilevanti nell’esposizione umana, e di potenziale impatto per le maggiori concentrazioni che raggiungono ad esempio nell’acqua potabile (i filtri a carbone infatti sono molto meno efficienti nel rimuoverli) e nei vegetali, data la capacità di essere assorbiti dalle radici e diffondersi alle foglie.
A questo, si aggiunge una rivalutazione tossicologica dei composti perfluoro-carbossilici >8 atomi di carbonio (PFNA, PFunA, PFDoA), che si ritrovano soprattutto negli alimenti di origine animale. Ponendo la tossicità epatica del PFOA = ad 1, si sono derivati dei fattori di risposta relativi su base tossicologica per gli altri composti perfluoro-carbossilici e –sulfonici, la cui presenza congiunta va valutata in funzione di un unico valore guida per la salute di 12,5 ng/kg di peso corporeo riferita al PFOA, indicato dal RIVM nel 2017.
Pertanto, in base alla tabella proposta dal RIVM (sotto), le quantità analitiche di ogni singolo PFAS riscontrate nella dieta vanno moltiplicate per il corrispondente fattore di risposta relativo. La somma di tutti i contributi, costituisce l’esposizione PFOA equivalente, che non deve superare il livello guida sopra descritto. A titolo esemplificativo si è ritenuto opportuno applicare tali fattori di risposta relativi alle contaminazioni descritte nel fegato di cinghiali e nelle acque sotterranee intese a scopo idropotabile: le indicazioni che scaturiscono indicano che la tossicità cumulativa potrebbe essere di maggiore rilevanza nell’alimento di origine animale. Questo richiederebbe un cambiamento nell’orientamento del rischio, laddove supportato da una qualità del campionamento e delle analisi sostenuta da una adeguata sensibilità.
Il ruolo dell’alimento di origine animale e dell’alimento per autoconsumo nell’esposizione cumulativa a PFAS trova conferma nei dati di biomonitoraggio umano per la campagna condotta nel gruppo di allevatori e resi disponibili nella relazione finale della Commissione d’Inchiesta le concentrazioni di PFAS sono risultate significativamente differenti rispetto al gruppo non esposti non solo per PFOS e PFOA, ma anche per i composti a corta catena (PFBA, PFBS, PFHxA, PFHxS, oltre a quelli a più lunga catena (> 8 C) quali PFDA, PFUdA, PFDoA.
UN QUADRO TOSSICOLOGICO IN EVOLUZIONE
Va peraltro sottolineato come altre Agenzie internazionali stiano considerando effetti tossicologici differenti da quelli considerati dal RIVM, ad esempio quelli basati sull’interferenza dei PFAS con gli ormoni tiroidei, in grado di determinare nascita di bambini prematuri e sottopeso. In tale senso i livelli guida per la salute potrebbero essere inferiori a quelli presi in considerazione dal RIVM per la ipertrofia epatica.
In tutto questo l’opinione EFSA sembra oltremodo bloccata: il Ministero della Salute italiano non intende mettere in valutazione a livello nazionale tale opinione, trasmessa da EFSA attraverso il Foro Consultivo a cui partecipano per l’Italia i funzionari ministeriali. In Italia non mancano certo le competenze e le esperienze consolidate a livello internazionale per aiutare EFSA ad uscire dallo stato di stallo della opinione e contribuire alla valutazione della tossicità dei PFAS per esposizioni pre-natali e perinatali, tenendo conto dei dati disponibili ad esempio presso l’Agenzia delle sostanze chimiche ECHA e delle evidenze epidemiologiche, laddove adeguatamente corrette per i fattori di confondimento (ad esempio, diete ipo-iodiche che possono interferire con la funzionalità tiroidea alla stregua della presenza di PFAS).
In questo contesto che richiede competenze tecnico-scientifiche ad alto livello e non autoreferenzianti, desta una certa perplessità la ventilata ipotesi di riordino del Ministero della salute, con la possibile sostituzione di “denominazioni” come sicurezza alimentare e igiene delle produzioni zootecniche. Tali denominazioni risultano di fondamentale importanza nel corpo giuridico della Sicurezza Alimentare a Livello Europeo, corpo giuridico che con l’istituzione di una Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare indipendente dalla Commissione e dai Ministeri, ha permesso che il sistema di controlli ufficiali gestito dai Ministeri acquistasse una nuova credibilità dopo le crisi “Mucca Pazza e Diossine”.
I PFAS, AVANTI NELLA GESTIONE DEL RISCHIO
Sta di fatto che il Parlamento Europeo con i limiti emendati per i PFAS totali nell’acqua potabile, indica fortemente la necessità di giungere al più presto a politiche di forte riduzione e dove possibile di sostituzione dei PFAS, non facendo più distinzione tra quelli “pericolosi” a catena medio-lunga, e quelli ritenuti “tollerabili” a catena corta.
La tabella dei fattori relativi di risposta del RIVM sottolinea anche il razionale scientifico alla base di questa scelta gestionale. Possibile, che con la valutazione degli effetti tossicologici per esposizioni pre-natali, si debba stringere ancora di più il livello tollerabile in gravidanza.
Ma è giusto partire dall’acqua che è un alimento per mettere dei limiti ai PFAS totali? Meglio sarebbe una legislazione che nel settore manufatturiero, con particolare riferimento alle schiume anti-incendio, alla carta e agli imballaggi a contatto con gli alimenti, e al settore tessile intraprendesse la strada della sostituzione dei PFAS, come sta già avvenendo in alcuni stati europei.
Per quanto riguarda il Veneto, risulterà dirimente capire se quanto finora attuato come prevenzione primaria specie nel campo alimentare troverà riscontro in una diminuzione delle concentrazioni nel siero dei gruppi esposti. Considerando i tempi di dimezzamento delle molecole considerate, e il lasso di tempo trascorso già potrebbero apprezzarsi i primi risultati su cui effettuare le opportune valutazioni di efficacia di intervento, non solo limitate al PFOA. (a cura redazione Sivemp Veneto)
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