Oggi è il D-day. «Il giorno», per dirla con Matteo Renzi, «in cui per la prima volta sarà messa nelle tasche degli italiani una significativa quantità di denaro». In primis con il taglio del cuneo fiscale, valore: 10 miliardi. Un tesoretto che, grazie a una sforbiciata dell’Irpef, dovrebbe finire ai lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 15mila o 25 mila euro all’anno. Con alcune eccezioni però a favore delle imprese, come gli sgravi per chi assume.
Ma nel menù del Consiglio dei ministri di questo “mercoledì da leoni”, c’è anche la riforma del lavoro battezzata dal premier jobs act. E ci sono il piano casa, gli interventi per l’edilizia scolastica e la restituzione alle aziende dei debiti della Pubblica amministrazione.
A sentire palazzo Chigi sarebbe risolto il problema delle coperture. Essenzialmente grazie a una “concessione” strappata a Bruxelles dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: il rapporto deficit-Pil nel 2014 passerebbe dal 2,6% al 3%. Uno scatto che varrebbe 6,4 miliardi.
LA CONCESSIONE EUROPEA
«La questione delle coperture è superata», dicono i collaboratori di Renzi, «abbiamo lavorato ventre a terra e recuperato ben 20 miliardi di cui ne utilizzeremo solo 10: 6,4 miliardi portando dal 2,6% al 3% il rapporto deficit-Pil, 7 miliardi dalla spending review, 3 miliardi grazie al calo dello spread e alla conseguente riduzione delle spese per finanziare il debito, 1,6 miliardi di Iva rastrellati grazie ai pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione e 2 miliardi con il rientro dei capitali dalla Svizzera». Misura, quest’ultima, che proprio ieri però ha subito un brusco stop: il decreto diventerà un semplice disegno di legge dopo una bocciatura in Commissione.
In più in serata il ministro Padoan, non aveva ancora potuto vistare il lavoro fatto da Renzi e dal sottosegretario Graziano Delrio, in quanto rimasto più a lungo del previsto a Bruxelles. E al Tesoro c’era chi non escludeva un rinvio. Con il governo che oggi potrebbe limitarsi ad esaminare le linee di indirizzo, facendo invece slittare ai prossimi giorni il varo del decreto. Di sicuro c’è solo che ieri è stato annullato il pre-Consiglio, dove si limano i dettagli dei provvedimenti. Che il Consiglio dei ministri, inizialmente previsto per la mattina, è slittato al pomeriggio. E che Renzi, ieri sera, ha scritto in un tweet: «Il lavoro di queste ore procede molto bene. Domani alle 17 conferenza stampa con i provvedimenti». E ha lanciato il nuovo hastag: «#lasvoltabuona».
LA TENSIONE
Resta alta la tensione tra governo e parti sociali. Renzi ha reagito con un’alzata di spalle a chi gli chiedeva dei «penultimatum» di Giorgio Squinzi e delle minacce di sciopero di Susanna Camusso: «Ce ne faremo una ragione». Non è tardata la replica del capo degli industriali: «Renzi se ne farà una ragione, noi però abbiamo una ragione sola e l’abbiamo in mente molto precisa. E’ il bene del nostro paese». E Squinzi è tornato a invocare una sforbiciata all’Irap delle aziende.
Dura anche la leader della Cgil, Camusso: «Chi si è presentato al Paese con l’idea che avrebbe cambiato verso e avrebbe introdotto il nuovo, usa degli argomenti di una antichità straordinaria. Nella nostra memoria di governi che si sono presentati nella logica dell’attacco al sindacato ne abbiamo una lunga sequenza. Ma in realtà con una idea in fondo antica: quella di immaginare che si può prescindere dal lavoro e dalle sue forme organizzate quando si disegna la direzione verso cui va il Paese». Critico anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: «Un premier deve avere un atteggiamento più equilibrato, deve rispondere delle proprie responsabilità e deve favorire la coesione e non la divisione. Renzi ha il diritto e dovere di ascoltare tutti e di fare le proposte, ma scaricare responsabilità sulle forze sociali è intollerabile». Quasi a saldare l’asse con Renzi, ecco invece il segretario della Fiom, Maurizio Landini: «Renzi rappresenta un elemento di novità e i voti che ha preso nel corso delle primarie indicano che c’è una grande parte del Paese che desidera cambiare. E in questi ultimi 20 anni è stato cambiato poco. Io il Paese lo voglio cambiare».
Il Messaggero – 12 marzo 2014