Approvato il decreto sull’Irpef, Matteo Renzi si prepara ad affrontare la nuova tappa del suo cronoprogramma: la riforma della Pubblica Amministrazione. L’appuntamento con gli statali era stato fissato dal premier per la fine di aprile e Renzi ha intenzione di rispettare la data. Ieri ha incontrato in un vertice durato oltre due ore e mezzo il ministro alla pubblica amministrazione, Marianna Madia e il sottosegretario Angelo Rughetti per discutere del provvedimento. O meglio, dei provvedimenti. La riforma ricalcherà infatti quella del lavoro, con un decreto legge che anticiperà le misure più urgenti e un disegno di legge per la parte «strutturale». Il grosso del lavoro è già pronto, e lunedì ci sarà un nuovo incontro per mettere a punto gli ultimi dettagli. Qualche punto fermo durante l’appuntamento di ieri, comunque, sarebbe stato messo.
Almeno per quanto riguarda due aspetti qualificanti del progetto di riforma: la mobilità obbligatoria e lo sblocco del turn over. Su questo secondo punto il piano predisposto dalla Madia manterrebbe le attuali proporzioni tra uscite ed entrate: una nuova assunzione ogni cinque pubblici dipendenti che lasciano il servizio. Questo permetterebbe senza troppi sacrifici l’uscita degli 85 mila statali indicati nella spending review del commissario Carlo Cottarelli, anche attraverso i prepensionamenti, e che impegna il comparto a risparmi per 3 miliardi di euro. C’è però una novità. Il turn over sarà centralizzato. Significa, per esempio, che anche se i pensionamenti o prepensionamenti, ci saranno, per esempio, per il ministero delle Politiche agricole, le assunzioni potrebbero essere effettuate da altri dicasteri a seconda dei fabbisogni a valere su quelle stesse uscite.
GLI ALTRI PUNTI
I dipendenti, insomma, non saranno più considerati di un singolo comparto, ma della «Repubblica» e dunque potranno essere impiegati dove c’è esigenza. Questo, di fatto, renderà la mobilità obbligatoria, perché nella ridefinizione delle esigenze di organico tutti potranno essere chiamati a cambiare amministrazione. Ieri in un tweet, parlando della riforma, in particolare riferendosi ai dirigenti, Renzi ha sintentizzato in «più merito, più mobilità, più qualità» i punti cardine del progetto. E proprio i dirigenti potrebbero essere interessati da uno dei passaggi più immediati del progetto, la parte che potrebbe finire nel decreto legge. Una serie di misure per garantire risparmi fino a 500 milioni di euro erano state già inserite nelle prime bozze del provvedimento sull’Irpef, con l’imposizione non solo del tetto a 240 mila euro, la cosiddetta «norma Olivetti», ma anche con delle fasce di reddito per i dirigenti non apicali.
Questo progetto dovrebbe essere ormai definitivamente archiviato, mentre l’idea sarebbe quella di agire sulle indennità di risultato e su quelle di posizione. Le prime hanno un elevato valore, circa 2,8 miliardi di euro l’anno per tutta la Pubblica amministrazione, e dovrebbero essere erogate il prossimo mese di dicembre. Il piano prevede non più una loro distribuzione a pioggia, ma la loro parametrazione ai risultati effettivamente conseguiti (anche in termini di risparmi di spesa) e una quota sarà legata anche all’andamento economico del Paese. Ieri lo stesso Renzi, sempre in un tweet, ha annunciato che a Palazzo Chigi questa innovazione è già in vigore. Anche l’indennità di posizione dovrebbe essere ricalibrata in base alle funzioni dirigenziali effettivamente svolte. C’è poi il capitolo «semplificazione» che passa attraverso l’innovazione tecnologica. Renzi ha in mente di accelerare sull’identità digitale, immaginando un codice «Pin» da dare ad ogni italiano per entrare in tutti gli uffici della pubblica amministrazione restando comodamente a casa. (Il Messaggero)
Vertice per le misure sulla dirigenza e le nuove semplificazioni
Una lunga riunione a palazzo Chigi con Matteo Renzi, i ministri Marianna Madia e Maria Elena Boschi, il sottosegretario Graziano Delrio e diversi tecnici per mettere a punto i dettagli dell’intervento di riforma della Pa che il premier vuole varare entro la fine del mese, con buone probabilità martedì prossimo, 29 aprile, data indicata per un possibile Consiglio dei ministri. Un pacchetto di misure sul quale il riserbo resta assoluto ma che sicuramente riguarderà la dirigenza, come ha confermato indirettamente lo stesso Matteo Renzi nel corso della diretta twitter che ha preceduto l’incontro. «Più merito, più mobilità, più qualità» sono le parole chiave. «Studieremo la possibilità che i dirigenti pubblici vengano valutati per i meriti anche dal personale e dai colleghi» ha scritto in un tweet il presidente del Consiglio rispondendo alla proposta di un follower.
«Intanto da Chigi – ha poi aggiunto Renzi – abbiamo iniziato a innovare. Una parte della retribuzione sarà legata alle performance del Paese», con riferimento all’annunciato Dpcm che introdurrà una prima mini-riforma dei criteri di premialità della dirigenza legando parte dell’ammontare dei riconoscimenti economici al realizzarsi di indicatori macro come per esempio l’andamento del Pil.
Sull’intervento più generale si resta alle volontà politiche manifestate fin qui dal nuovo Governo e che prevedono la possibile introduzione del ruolo unico e un ridisegno del sistema dei concorsi e dei corsi-concorsi. Cuore della riforma dovrebbe essere anche quello della razionalizzazione dell’attuale sistema delle scuole di formazione. A tutt’oggi sono ancora cinque: la Scuola superiore di economia e finanze, la Scuola superiore della pubblica amministrazione, quella dell’amministrazione locale, quella dell’Interno e l’istituto diplomatico Mario Toscano. Strutture simili che moltiplicano per cinque spese di funzionamento, stipendi per i docenti e per i dirigenti e magari anche affitti d’oro per le sedi.
L’obiettivo strategico è quello di realizzare un modello di reclutamento capace di garantire una vera mobilità intercompartimentale dei dirigenti, rafforzando i limiti di mandato già previsti dalla normativa attuale. Possibile anche un ulteriore intervento sulle retribuzioni, magari con un ripensamento dell’indennità i posizione, anche se il tema dovrebbe esser stato chiuso con il tetto massimo a 240mila euro introdotto con il decreto del 18 aprile. Altro fronte di possibili interventi riguarda le semplificazioni: potrebbero arrivare misure come il codice unico per l’accesso ai certificati online (legato all’attuazione dell’Agenda digitale), nuovi interventi in materia di trasparenza e, forse, il famoso “sforbicia Italia”, pure evocato dal premier e che potrebbe comportare la chiusura di enti inutili.
Sul pubblico impiego l’attesa è altissima. Il ministro Madia ha parlato nelle scorse settimane di “staffetta generazionale” in riferimento a un possibile superamento dell’attuale blocco del turn over associato anche in questo caso a nuovi modelli di mobilità e, nella fase transito ria, a una nuova gestione degli esuberi che la spending review farà emergere. Il numero di partenza è quello indicato dal commissario straordinario, Carlo Cottarelli, 85mila dipendenti, una cifra «non molto elevata in rapporto all’occupazione nella Pa» ha ripetuto ieri davanti alle commissioni Difesa riunite di Camera e Senato.
Sempre ieri intanto si sono dimessi i vertici dell’Autorità nazionale anticorruzione (ex Civit): il presidente Romilda Rizzo e i due componenti, Antonio Martone ed Alessandro Natalini. Dopo la nomina del nuovo presidente, il magistrato Raffaele Cantone, il passo indietro dei tre dovrebbe consentire l’immediato avvio della nuova gestione. Il ministro Madia dovrà ora selezionare i consiglieri sulla base delle manifestazioni d’interesse raccolte tramite una pubblica consultazione via web. (Il Sole 24 Ore)
Pensioni, avanza il piano a rate. Dirigenti, stop ai tagli lineari
Non ci saranno tagli lineari agli stipendi dei dirigenti pubblici. Le tre-quattro fasce con altrettanti tetti alla retribuzione, comparse nelle bozze preparatorie del decreto legge sul bonus da 80 euro e non entrate nel testo del provvedimento approvato venerdì santo dal governo, non ricompariranno nella riforma della pubblica amministrazione. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, ieri hanno fatto il punto in vista della riforma che potrebbe essere approvata dal Consiglio dei ministri la prossima settimana.
Si tratterà di un decreto legge, probabilmente affiancato da un disegno di legge delega. Madia ha ribadito la propria contrarietà a tagli lineari. Anche l’ipotesi di sospendere l’indennità di posizione in vista di un riordino dei criteri di determinazione della stessa è stata accantonata. Si lavora tuttavia a una ridefinizione della parte variabile della retribuzione per evitare che, come è accaduto finora, i premi vengano distribuiti a pioggia. Secondo quanto anticipato dallo stesso Renzi, «studieremo la possibilità che i dirigenti pubblici vengano valutati per i meriti anche dal personale e dai colleghi» e «una parte della retribuzione sarà legata alle performance del Paese», per esempio al prodotto interno lordo. Obiettivo della riforma sarà la semplificazione attraverso le nuove tecnologie.
Tutti i cittadini saranno dotati di un codice pin per sbrigare online le pratiche. Ciò richiederà anche l’avvio di un percorso di svecchiamento del personale, che oggi vanta un’età media tra le più alte in Europa. Per questo sono allo studio meccanismi di «staffetta generazionale» come illustrato dalla stessa Madia in Parlamento: sblocco del turn over, favorendo contemporaneamente il pensionamento dei dipendenti più anziani in esubero. A questo proposito, ieri, il commissario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, ha ribadito che la stima di ridurre di 85 mila dipendenti l’organico della pubblica amministrazione nei prossimi anni è realistica.
Sullo stesso tema, il pensionamento anticipato dei lavoratori più anziani legato alle ristrutturazioni industriali, si muove anche il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che ieri ha annunciato l’apertura di un tavolo tecnico (l’appuntamento è fissato per il 7 maggio) per studiare forme di flessibilità legate alla pensione. Dovrebbero essere presenti il ministero dell’Economia, l’Inps ed esponenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato. Lo stesso Poletti ha rilanciato qualche giorno fa una proposta già affacciata dal predecessore, Enrico Giovannini: consentire ai lavoratori vicini alla pensione (3-4 anni) di lasciare l’attività percependo in anticipo una minipensione (tipo 6-700 euro al mese) che poi restituirebbero in piccolissime rate dal momento in cui comincerebbero a percepire la pensione piena. L’ipotesi costerebbe alcune centinaia di milioni nei primi anni (ma sarebbero chiamate in parte a contribuire le aziende), determinando poi un calo della spesa e potrebbe offrire una risposta al problema degli esodati (lavoratori anziani espulsi dalle imprese in crisi, che non hanno i requisiti per andare in pensione).
Sul tavolo ci sono anche altre ipotesi, che però costerebbero di più e hanno quindi meno chance: dall’aumento della platea degli esodati ai quali consentire di andare in pensione con le vecchie regole (finora è stato permesso a 162 mila persone, per un costo complessivo negli anni di 11 miliardi) alla correzione della riforma Fornero per consentire pensionamenti anticipati in cambio di un assegno più leggero. Un proposta di legge in tal senso è stata presentata dal presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), che dice: «È importante che la discussione col ministro cominci presto e che sul tavolo ci siano risorse adeguate». (Corriere della Sera)
24 aprile 2014