Adesso tutti in vacanza, ma tra un paio di settimane la situazione che Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan troveranno sarà più complicata. Il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia ostentano tranquillità. Ieri, quasi a smentire le voci che li vogliono in contrasto, hanno pranzato insieme. Poi Renzi ha visto il nuovo direttore dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi.
Infine, nel pomeriggio, l’ultimo consiglio dei ministri prima della pausa estiva. Nonostante non si sia fatta una discussione sullo stato dell’economia di nuovo in recessione, Renzi e Padoan sanno che è da qui che bisogna ripartire, accelerando le riforme, come chiede anche il presidente della Bce, Mario Draghi.
Tanto è vero che Renzi ha messo all’ordine del giorno del prossimo consiglio dei ministri, venerdì 29 agosto, il cosiddetto Sblocca-Italia, un decreto legge, di cui si è cominciato a discutere nella riunione del 31 luglio, per riavviare i cantieri delle infrastrutture finanziate in passato per un valore complessivo di 43 miliardi. Un provvedimento sul quale pesa però la richiesta del ministro dell’Interno e leader di Ncd, Angelino Alfano, di inserire l’abolizione dell’articolo 18 (tutela dai licenziamenti) per i nuovi assunti. Richiesta che potrebbe essere rilanciata a ridosso del prossimo consiglio dei ministri, visto che Alfano ha convocato la direzione del partito per giovedì 28 agosto. E che, se presa in considerazione da Renzi, provocherebbe una rivolta in mezzo Pd.
Dopo il peggioramento del Pil, il governo da un lato deve accelerare sui provvedimenti per la crescita e dall’altro deve stringere i cordoni della borsa per il 2014, altrimenti rischia di dover fare una manovrina in extremis per assicurare il deficit al 3% del Pil. In questo quadro, al ministero dell’Economia attribuiscono grande importanza all’approvazione ieri in consiglio dei ministri di un decreto legislativo per l’«armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni e dei loro organismi». Con questa riforma, spiegano, si vuole «garantire la qualità e l’efficacia del monitoraggio dei conti pubblici», superando la situazione caotica attuale, che non consente di dare «una rappresentazione reale ai fatti economici», come si è dimostrato da ultimo sulla consistenza dei debiti commerciali della pubblica amministrazione. Il decreto prevede l’adozione di uno schema di bilancio comune per tutte le amministrazioni. Una rivoluzione, dicono al ministero dell’Economia, che renderà più semplice la revisione della spesa pubblica (spending review) e la determinazione dei costi standard.
Il tempo però stringe e a settembre sui conti pubblici il gioco si farà pesante. I risicati margini di manovra sui saldi di bilancio sono di colpo spariti con il pessimo dato del Pil, che ha mandato in fumo l’obiettivo di un deficit del 2,6% del Pil e di un debito pubblico al 134,9%. Adesso Padoan è impegnato a non sforare il tetto europeo del 3% mentre non sa come portare a casa gli 11 miliardi (lo 0,7%) da privatizzazioni per il 2014.
Detto brutalmente, i conti non tornano. Le stesse coperture per il bonus da 80 euro nel 2014 vanno verificate: siamo sicuri che ciascuno stia facendo la sua parte? Le amministrazioni centrali avrebbero dovuto tagliare 700 milioni, altrettanti le Regioni e altrettanti i Comuni. Al ministero affermano che lo stretto monitoraggio in corso e i meccanismi di salvaguardia previsti mettono al riparo dall’emergere di buchi improvvisi. Ma non si può abbassare la guardia. Se i tagli di spesa non daranno i risultati attesi, entro il 15 gennaio prossimo, ricorda Padoan, bisognerà tagliare le detrazioni e agevolazioni fiscali per 3 miliardi nel 2015, 7 miliardi nel 2016 e 10 miliardi dal 2017. Finora Padoan è stato in sintonia con Renzi anche a dispetto delle rigidità presenti in alcune strutture del suo ministero. Ma ora anche per lui i margini si stanno esaurendo, stretto com’è tra vincoli interni e regole internazionali. Renzi se ne sta rendendo conto. E per esempio non parla più estendere il bonus a pensionati e incapienti. Padoan, d’altro canto, sa che tra un po’ dovrà, suo malgrado, cominciare a dire dei «no».
Enrico Marro – Corriere della Sera – 9 agosto 2014