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Pressioni su Monti. Il decreto tagli verso un breve rinvio

Ma i primi 5 miliardi potrebbero partire domani. Ciaccia: così scongiureremo l’aumento dell’Iva. La decisione definitiva arriverà lunedì sera, a poche ore dall’ultimo consiglio dei ministri utile (martedì) prima del vertice europeo di fine settimana.

Se dipenderà solo dal premier e dal suo vice al Tesoro, Vittorio Grilli, almeno la prima parte del decreto, quella che riguarda i tagli di quest’anno, verrà approvata. Ma c’è ancora da definire il testo in ogni dettaglio e le resistenze sono molte: di alcuni ministri, delle burocrazie, dei sindacati, dei partiti. Il menù del commissario ai tagli Enrico Bondi è pronto: cinque miliardi quest’anno, 12 nel 2013, 13 nel 2014. Trenta miliardi in tre anni che servono anzitutto a scongiurare, il 30 ottobre, quattro punti di aumento dell’Iva. «L’imposta non aumenterà neanche di un punto», promette sicuro il viceministro alle Infrastrutture Mario Ciaccia. «Finita l’epoca degli sprechi stiamo recuperando risorse all’interno della spesa». Lunedì il governo deciderà se procedere o rinviare le decisioni di qualche giorno. Nel primo caso, arriverà un decreto da almeno cinque miliardi, quanto basta per evitare l’aumento dell’Iva in autunno, e rinviando le altre misure alla legge di Stabilità, a fine agosto. Nel secondo caso, se ne discuterà la settimana successiva.

Di per sé nulla di grave: il governo non ha dato un termine preciso per la definizione del tagli, però significherebbe presentarsi a Bruxelles a mani vuote. Fonti di Palazzo Chigi ci tengono a precisare che fra i due appuntamenti non c’è legame, e che il governo non ha preso impegni con Bruxelles per varare ulteriori tagli. Lo fa – oltre che per l’Iva – per coprire le spese del terremoto in Emilia o ritagliarsi un margine per nuove misure di sostegno all’economia. Sul tavolo del ministro Passera c’è una lunga lista di proposte rimaste tali, come quella di rendere completamente deducibili i mutui prima casa. Altra cosa è la riforma del mercato del lavoro, sulla quale invece l’impegno del governo ad approvarla prima del vertice c’è. Per questo, a costo di rinviare le modifiche chieste ad un secondo tempo (si sta pensando di farlo durante la conversione del decreto Sviluppo) e nonostante i mal di pancia del Pdl, il decreto verrà approvato in via definitiva dalla Camera mercoledì.

Il fatto che il governo pensi a un nuovo rinvio dei tagli significa che è sotto pressione. La lista messa a punto da Bondi e dall’altro ministro coinvolto, Piero Giarda, è un boccone difficile da digerire. L’ex commissario della Parmalat non ha guardato in faccia a nessuno: sanità (almeno due miliardi di risparmi) e spese dei ministeri, dirigenza pubblica, enti locali. Alcuni ministri resistono all’idea di applicare ai propri uffici la regola imposta per il Tesoro: un dirigente ogni quaranta dipendenti. Per non parlare del taglio di circa metà delle Province o la riorganizzazione degli uffici territoriali del governo come Prefetture, Questure, Sovrintendenze. Le resistenze più grosse in questo momento vengono dai sindacati del pubblico impiego, che hanno già proclamato due ore di sciopero per il 26 giugno. Monti sa di camminare sulle uova, e per questo cerca di evitare strappi in una settimana delicatissima per la tenuta della zona euro.

In apparenza il Pdl non è un ostacolo. «Anzi, se vara un decreto di tagli come facciamo a dire di no?», dice un esponente critico del partito. Ma un eventuale levata di scudi dei sindacati potrebbe creare fibrillazioni nel Pd. Meglio dunque prendere tempo, e non è escluso che nel frattempo il governo incontri i sindacati per discuterne.

Nel frattempo le cose procedono con apparente tranquillità. Martedì pomeriggio Monti sarà in aula per le mozioni sulla politica europea. A ieri le mozioni depositate erano due: una a firma del capogruppo Pd Dario Franceschini, l’altra del numero uno Pdl Fabrizio Cicchitto, che però si sarebbe detto disponibile a votare anche quella dei colleghi della sinistra. Maggioranza e opposizione sono d’accordo per presentare, lunedì, due emendamenti – uno di Massimo Donadi dell’Idv, l’altro del pidiellino Guido Crosetto – al decreto sulla nomina di Bondi in discussione alla Camera. Il primo prevede di applicare le regole previste sui tagli anche alle Camere, al Quirinale e alla Corte nel rispetto della loro autonomia costituzionale. L’altro prevede di porre un tetto massimo di seimila euro al mese alle pensioni erogate con il sistema retributivo.

La stampa – 24 giugno 2012

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