di Barbara Gobbi. Prevenzione e salute: ecco una delle tre grandi direttrici che – insieme a organizzazione e finanziamento” e “industria e crescita” – è opportuno seguire se si vuole salvaguardare il Servizio sanitario nazionale.
Eppure, avvertono gli esperti nel rapporto Meridiano Sanità 2013, l’obiettivo del 5% della spesa sanitaria nazionale indicato nell’ultimo Patto per la salute (2010-2012) è ancora lontano. Si attesta nel 2011 a 5 miliardi, pari al 4,2% della spesa. Ben al di sotto di quanto dedicato dai principali Stati Ocse. Anzi l’Italia si posiziona all’ultimo posto tra i Paesi europei per quota di spesa sanitaria destinata alla prevenzione, con appena lo 0,5%. In testa, la Finlandia con il 5,4 per cento. Le attività della profilassi nostrana sono così distribuite: a igiene e sanità va il 26% delle risorse (in calo del 4,7% negli ultimi sei anni), alla sanità pubblica veterinaria il 23% (-3,7%), alla prevenzione rivolta alla persona, vaccinazioni incluse, il 20% ( 6,9%), alla sicurezza sul lavoro il 13% ( 0,2%), al servizio medico-legale incluse tutte le certificazioni 1’11% ( 0,2%), all’igiene degli alimenti il 7% (-0,9%).
Variabili le quote regionali: si va dal minimo del Friuli Venezia Giulia (pro capite di 60,4 euro e 2,6% della spesa sanitaria totale) al massimo registrato in Valle d’Aosta (139,4 euro pro capite e 5,6% della spesa sanitaria). Più della Finlandia.
Se tra le prime proposte di Meridiano Sanità, visti i dati, compare un potenziamento degli esborsi in prevenzione, è sempre più chiaro che questi non possono prescindere da considerazioni evidence based. In grado di guidare e di giustificare scelte che hanno effetti nel lungo periodo. «La prevenzione – ha ricordato Carlo Signorelli, vicepresidente della Società italiana di Igiene – raramente porta risparmi nel breve periodo, mentre molte iniziative sono costo-efficaci ma impegnano risorse. Da qui l’importanza di privilegiare quelle a provata evidenza scientifica. Inoltre, i bisogni di prevenzione non si traducono sempre in domanda e il successo degli interventi non dipende solo dalle scelte “politiche”, ma anche dai diversi stakeholder e dalla capacità dei cittadini di divenire parte attiva. Come nel caso delle patologie candiovascolari, dove i risultati si possono ottenere incidendo su abitudini dietetiche, attività motoria e diagnosi precoce dell’ipertensione».
Scelte evidence-based, dunque. Ma anche l’applicazione di programmi in grado di stimare i benefici attesi in termini di riduzione dei costi socio-assistenziali e di incremento della produttività lavorativa. Queste le vie indicate da Meridiano Sanità, che guarda in particolare alle grandi patologie croniche e all’evoluzione dei programmi vaccinali. Perché la “nuova” prevenzione funzioni, è opportuno integrarla nei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali (Pdta), implementando la formazione e l’informazione al personale sui più importanti fattori di rischio. Un ultimo sguardo va alla medicina piedittiva, il cui impatto a breve è probabilmente «sovrastimato» e la cui efficacia «non può prescindere da una piena integrazione con i programmi di prevenzione e screening già esistenti», così come da una comprovata efficacia dei test (l’evidenza, appunto…) e da un’adeguata formazione dei professionisti.
Il Sole 24 Ore sanità – 12 novembre 2013