Una stima di 85 mila eccedenze tra il personale della pubblica amministrazione al 2016. Una misura che potrebbe generare un risparmio per le casse statali di tre miliardi. Il commissario Cottarelli, assalito dalle polemiche dei sindacati, ha già precisato che si tratta di una «stima da affinare» e che gli eventuali esuberi possono essere riassorbiti con la «mobilità». Nel documento Cottarelli si sofferma prima di tutto sulla spesa per corsi di formazione interna per la pubblica amministrazione, che è di circa 250 milioni. I tagli previsti ammontano a 100 milioni sia per l’anno corrente che per il 2015. Ma, si legge nelle slides , «esistono dubbi sulla efficacia di queste spese e risparmi, almeno nei prossimi due anni», ma minori esborsi «si possono ottenere attraverso una migliore prioritizzazione (sic)». Il settore «pubblico impiego» nella relazione non ha una trattazione dedicata come tutti gli altri.
Lo si ritrova in coda al rapporto, sotto la voce «criticità». Laddove la criticità in questione è rappresentata plasticamente dalla domanda «cosa fare del personale in esubero?», cui si cerca di dare una risposta. Si spiega, cioè, che gli esuberi dipendono da piani specifici di riforma ma la stima preliminare è di almeno 85 mila unità al 2016 , per un costo corrispondente di circa tre miliardi. Si prosegue osservando che la «capienza da blocco completo del turnover » è di circa 90 mila dipendenti, con questo indicando la misura come una possibile soluzione. Ma ci sono problemi nella sua applicazione ai singoli settori perché, ad esempio, nella scuola non ci sono esuberi ma molti pensionamenti. Inoltre il blocco del turnover causa aumento dell’età media, anche se l’«invecchiamento» è stato finora molto diverso tra settori.
Le slides elencano altre ipotesi allo studio: i prepensionamenti con l’eliminazione di posizioni (ma il risparmio sarebbe più limitato nell’immediato e ci sarebbe il rischio di effetti-imitazione per il privato), gli esoneri dal servizio (istituto introdotto nel 2008 ma abrogato a fine 2011), il collocamento in disponibilità del personale in esubero con riduzione della retribuzione, gli incentivi all’uscita dal settore pubblico con finanziamenti una tantum , la riduzione dei servizi esternalizzati, il rafforzamento della mobilità obbligatoria per facilitare riassorbimento all’interno della pubblica amministrazione. Tra le voci che si taglieranno con più certezza ci sono gli stipendi dei dirigenti statali: 500 milioni, compresi i risparmi sugli stipendi dei manager delle partecipate.
I tagli a politica e appalti (la frenata sugli statali). E Confindustria teme una mini-crescita dello 0,5%
«Questa è la madre di tutte le riforme, se riesce questa, il nostro castello di cambiamento dell’Italia sta in piedi, se dovesse fallire allora c’è il rischio che l’intero castello precipiti». Il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, ieri ha definito così l’operazione di revisione della spesa che il governo Renzi ha messo in cantiere. Non senza resistenze. Anche ieri, mentre il premier ribadiva in Parlamento che le tabelle del commissario Cottarelli sono un menu su cui vanno operate «scelte politiche», le proteste contro i tagli ipotizzati si sono moltiplicate. E c’è stato anche qualche distinguo in seno al governo.
E’ il caso del ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia che ieri, incontrando per la prima volta i sindacati di categoria, avrebbe preso le distanze da un eventuale totale blocco del turn over che il rapporto Cottarelli ipotizza per 85 mila dipendenti. Secondo quanto riportato dal segretario della Cgil Funzione pubblica, Rossana Dettori, a parere di Madia il blocco non dovrebbe esserci, anzi dovrebbero «essere inseriti tanti giovani». La ricostruzione, riportata anche dalla Cisl, non è stata smentita dall’interessata. Del resto anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ieri ha cercato di gettare acqua sul fuoco delle polemiche divampate dopo la pubblicazione delle tabelle di Carlo Cottarelli: «Le bozze sono solo bozze» ha tagliato corto.
Il punto è che l’accento messo dallo stesso Delrio nell’intervista al Corriere sulla necessità di reperire dalla spending review non tre ma cinque miliardi per finanziare il taglio del cuneo fiscale, non lascia tranquillo nessuno. Il sottosegretario ha cercato di rassicurare dicendo che i maggiori tagli rispetto alle tabelle di Cottarelli potrebbero venire dai costi della politica e dall’efficientamento degli acquisti, da cui ci si aspettano risparmi per più di un miliardo. Ma è anche vero che escludendo dalla tabella riepilogativa di Cottarelli la voce «pensioni», volano via 1,4 miliardi di quelle che il commissario aveva individuato come risorse spendibili nel 2014. L’altro fronte di battaglia al momento riguarda la difesa, dove i ventilati (e controversi) tagli al programma dei caccia F35 porterebbero un risparmio di cui Renzi parrebbe non volersi privare perché popolari e di facile reperimento, almeno a prima vista.
Il punto di equilibrio tra taglio delle tasse e taglio delle spese richiede uno sforzo importante: il premier non può vedere vanificato l’effetto elettorale ed economico della busta-paga più pesante a maggio per 10 milioni di lavoratori dipendenti, con i sacrifici che s’imponessero su altri cittadini in virtù della spending review .
Il timore di tagli induce quelli che sembravano prima convinti che il cambio di passo di Renzi costituisse un netto guadagno, a maggior prudenza. «Il nostro è un giudizio assolutamente sconcertato – attacca il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni – perché non si possono buttare i dati (della spending review, ndr ) in pasto all’opinione pubblica in questo modo, senza aver avviato prima una riflessione su come vogliamo ristrutturare la Pa, gli enti pubblici e le istituzioni. Basta con questa confusione». E, quanto ai dipendenti pubblici, «ne abbiamo già persi 350 mila, ora il governo si sieda con noi e discuta: basta con questo gioco al massacro». Ma i tempi sono molto stretti: i tagli dovranno essere pronti per il 21 aprile quando dovrà essere presentato il Def, documento di economia e finanza.
Intanto anche Confindustria ieri getta qualche ombra sulla possibile ripresa del Paese. Il Centro studi, che analizza l’andamento del mercato italiano, ha valutato «a rischio la previsione di un incremento del Pil superiore allo 0,5% nel 2014». Due i fattori frenanti: «Sul fronte esterno la nebbia dell’incertezza sulla solidità dello scenario globale, che spinge a navigare a vista e frena le decisione di spesa. Sul fronte interno, agiscono gli handicap competitivi strutturali e le lunghe code della crisi». D’altra parte l’indicatore dell’Ocse, scrivono ancora gli economisti di viale dell’Astronomia «suggerisce un nuovo indebolimento già nel secondo trimestre anziché un irrobustimento».
Intanto da Bruxelles torna a farsi sentire il commissario europeo Antonio Tajani ribadendo che l’Italia è a rischio di infrazione sui pagamenti della Pubblica amministrazione.
Corriere della Sera – 20 marzo 2014