«L’intesa non so, ma certamente incontrerò i sindacati prima del consiglio dei ministri del 13 giugno». Così il ministro per la Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha risposto, a margine dell’inaugurazione del Forum Pa, a chi le chiedeva se fosse possibile un’intesa con i sindacati sulla riforma della Pubblica amministrazione. «Ringrazio i sindacati di aver raccolto la sfida, ha spiegato il ministro, di commentare tutti e 44 i punti della riforma». E «il 45mo punto, quello del rinnovo del contratto è quello che io concettualmente condivido ma il problema è che ci troviamo in un momento in cui le risorse non sono tante, sottolinea Madia, ma spero veramente che, in Italia, riparta la fiducia e che, attraverso questa ondata di speranza, si rimetta in moto l’economia e lo sviluppo». L’auspicio della Madia è che comunque “presto” si possano «sbloccare i contratti bloccati, e questa non è una cosa buona, dal 2009».
Contratti Pa, Madia rassicura: blocco solo nel 2014, con riforma nuove risorse per i rinnovi
Al momento, i contratti al pubblico impiego sono «bloccati fino alla fine del 2014», in mancanza di fondi per poterli rinnovare, ma con la riforma della Pa che il governo presenterà a giugno sarà possibile «recuperare risorse per sbloccare i contratti». È quanto ha assicurato oggi il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, rispondendo alle contestazioni di alcuni sindacalisti Usb all’apertura del Forum Pa in corso a Roma. Nel giorno in cui si il Senato decide i tempi parlamentari del ddl anticorruzione, il ministro ha confermato poi l’attenzione del governo al fenomeno, da combattere migliorando la trasparenza: «La corruzione ruba troppe risorse ad ogni cittadino onesto oggi in Italia».
Nel Def nessun blocco dei contratti al 2020 o taglio a risorse e investimenti
Nella sua replica alla protesta messa in scena da una trentina fra delegati e lavoratori della Usb pubblico impiego per contestare l’annunciata riforma del settore pubblico, il ministro ha sottolineato come nel Def «non si dice assolutamente che i contratti sono bloccati fino al 2020», ma solo che questi «sono bloccati fino alla fine del 2014». Il ministro ha fatto notare poi che nei 44 punti indicati per la riforma della Pa e contenuti nella lettera aperta che ha dato il via alla consultazione pubblica (fino al 30 maggio, già 33mila le mail ricevute finora dai cittadini) sui contenuti della riforma manca qualsiasi accenno al taglio degli investimenti e delle risorse.
Mobilità, riforma sarà rispettosa dei diritti dei dipendenti pubblici
Riferendosi al provvedimento che Palazzo Chigi intende presentare il 13 giugno, il ministro ha poi definito una «grandissima ingiustizia» quella riservata ai precari dell’amministrazione pubblica, sottolineando che la mobilità del personale su cui sta lavorando il ministero non sarà coatta e forzosa ma volontaria, e tale da riconoscere al dipendente pubblico il diritto di rimanere a lavorare in un arco di chilometri tali dal luogo di residenza che consentano di svolgere la vita privata. Quindi, ha sottolineato che i dipendenti pubblici non possono rimanere a lavoro oltre la pensione, mentre tanti giovani sono senza occupazione: «Vogliamo ricostruire tutti assieme – ha concluso – un’amministrazione dove le persone giuste possono restare nel posto giusto al momento giusto».
Pubblico impiego. Il rapporto del Forum Pa: tutti i numeri del settore. Pochi, vecchi e male utilizzati: la fotografia
La strada per la rottamazione evocata da Matteo Renzi è ancora lunga, almeno per quanto riguarda il comparto della pubblica amministrazione. I lavoratori stipendiati da Stato ed enti locali in Italia, infatti, sono tra i più vecchi d’Europa con appena il 10% di under35 sul totale degli assunti, a fronte del 27% in Francia e il 25% in Gran Bretagna: è quanto emerge da una ricerca del Forum Pa che apre domani a Roma. In Italia il personale totale impiegato nelle amministrazioni pubbliche ammontava, a fine 2012, a 3.344.000 unità (-4,8% rispetto al 2009) mentre in Francia i travet sono 5.509.800 (+0,1%) e in Gran Bretagna 5.703.000 (-7,6%). A sostanziale parità geografica e abitativa, insomma,abbiamo meno addetti dei nostri vicini di casa. Questa, però, è forse l’unica buona notizia contenuta nel report.
Secondo il documento, l’età media dei nostri dipendenti – anche a causa del blocco del turnover e delle assunzioni con il contagocce nel corso dell’ultimo lustro – è di 48 anni con un picco di 52 anni (con 22 medi di servizio) all’interno dei ministeri. Note dolenti arrivano anche dal mondo della scuola, dove massime dovrebbero essere la flessibilità e l’attenzione al nuovo. Nelle aule italiane, secondo la ricerca Forum Pa, l’età media è di ben 51 anni; nelle forze di polizia si ferma a 41 anni ma è cresciuta di otto anni dal 2001. Troppi. Se solo il 10% dei dipendenti pubblici ha meno di 35 anni, poi, solo l’1% ha meno di 25 anni ed è quindi “nativo digitale”, categoria della quale l’impiego pubblico avrebbe invece grande bisogno per rinnovarsi a tutti i livelli. Ma la stragrande maggior parte di loro, inutile dirlo, occupa le ultime posizioni della scala gerarchica all’interno degli uffici cui è assegnata.
Impietoso, da questo punto di vista, anche il confronto con l’estero. In Francia e Gran Bretagna, per esempio, i dipendenti entro i 35 anni sono rispettivamente il 27% e il 25%, quelli con meno di 25 anni il 5,4% e il 4,9% . E se il mercato del lavoro sta andando tutto verso una maggiore flessibilità, quello pubblico risulta in controtendenza: la percentuale del lavoro flessibile nella pubblica amministrazione in Italia è scesa infatti dal 13,6% del 2001 al 10% del 2012; in Francia e in Gran Bretagna, invece, circa un quarto dei dipendenti pubblici risulta “non titolare” di una posizione permanente. E mentre il personale stabile del comparto, in Italia, si è ridotto del 5,6% dal 2001 al 2012 – si legge inoltre nella ricerca – il lavoro flessibile nello stesso arco di tempo si è assottigliato del 30%, passando da 438.144 a 307.278 unità.
Ultima sorpresa, ma non troppo: la dirigenza ha retto meglio alla crisi rispetto agli impiegati. Il numero di impiegati per ogni dirigente pubblico, nel complesso, è diminuito nel corso degli anni da 12,3 nel 2004 a 11,7 nel 2012. La dirigenza, nonostante le crociate politiche degli ultimi anni, sembra poi aver subito meno tagli anche sul fronte retributivo: se consideriamo il 2001 come numero indice con base 100, la dirigenza apicale risultava nel 2012 a quota 137 mentre la seconda fascia si fermava a quota 121 e il personale non dirigente a quota 127. Un dirigente apicale guadagna in Italia 12,63 volte il reddito medio mentre in Gran Bretagna la proporzione è ferma a 8,48 volte, in Francia a 6,44 e in Germania a 4,97.
Ultima, ma non certo meno grave, piaga del pubblico impiego – conclude la ricerca- è la ”disorganicadislocazione geografica e frammentazione in un numero inverosimile di strutture e unità locali”. Gli impiegati pubblici italiani passano infatti da circa 130 ogni 1.000 occupati in Calabria a meno di 60 in Lombardia. Alta anche la loro dispersione, con conseguente moltiplicazione di costi e centri di spesa per chi deve gestirli: secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2011, le unità locali che hanno una sede fisica e almeno una persona effettivamente in servizio sono, escludendo le circa 41.000 scuole e istituti d’istruzione, 62.395. In particolare i ministeri hanno circa 4.900 unità distaccate, le province oltre 2.100, le regioni 1.778 (in media quasi novanta per regione).
Il Sole 24 Ore e Panorama – 27 maggio 2014