Se non hai la minima idea di come si trattano le api difficilmente ti avvicini a un alveare. Men che meno progetti di rubarne trenta. Quindi questa storia comincia con una certezza che il presidente della Federazione apicoltori italiani, Raffaele Cirone, riassume così: «Un furto del genere è senz’altro opera di uno specialista del settore, uno che sa come avvicinarsi e proteggersi, che sa qual è il valore di ciò che sta portando via e, normalmente, sa già come piazzare sul mercato nero, diciamo così, la sua refurtiva. Può essere un apicoltore che ha perso i suoi alveari e rimpiazza la perdita rubando quelli altrui. Oppure l’altra ipotesi è un apicoltore, un esperto, che ha sentito voci su possibili acquirenti e recupera la “merce” da vendere rubandola». Mercato nero, refurtiva, ladri. Parliamo di trecentomila api rubate l’altro giorno (con i loro trenta alveari, appunto) a un apicoltore del Trevigiano.
«Ma parliamo soprattutto del fatto che gli hanno sottratto la capacità produttiva, il suo strumento di lavoro» per dirla con il presidente Cirone. «Non si tratta solo del miele e men che meno si tratta del danno economico in sé (in questo caso 9.000 euro, ndr ). Il fatto è che da due-tre anni nel nostro settore l’abigeato è sempre più frequente e diffuso».
Non sono bastate le nuove norme appena entrate in vigore (il 19 gennaio scorso) per perfezionare la cosiddetta anagrafe delle api che traccia vita, movimenti e morte di ogni singolo alveare. «I traffici illegali purtroppo si moltiplicano a dispetto di ogni regola» dice il presidente della Fai, preoccupato dal fatto che tutto ciò che è illegale salta ovviamente i controlli sanitari quindi diventa un potenziale rischio per l’agricoltura e la salute pubblica. È stata l’importazione illegale di api, per esempio, a far entrare in Calabria un parassita che, se non sarà trovato un rimedio, diventerà presto un problema grave.
Tutto questo si somma a una situazione resa già abbastanza complicata dalle piogge eccezionali dell’anno scorso durante il periodo della fioritura. Quelle piogge hanno messo in grandissima difficoltà le api e il risultato è che «abbiamo avuto un anno davvero orribile» conferma Massimiliano Fasoli, consigliere nazionale Fai per la Lombardia. «Il 2014 è stato il peggiore degli ultimi 50 anni per la produzione del miele. Siamo al 50% in meno rispetto alle annate ordinarie». Che vuol dire averne prodotto nemmeno 50 mila quintali contro i 100 mila degli anni precedenti.
Ma le api non sono soltanto sinonimo di miele. «Hanno un ruolo fondamentale nell’impollinazione» ricorda Fasoli. In Italia il valore annuo dell’impollinazione, cioè il contributo delle api al fatturato delle produzioni agricole, è di un miliardo e mezzo di euro. Alla loro attività si lega circa il 70% delle colture dei prodotti alimentari.
«Non ci sarebbe frutta sulle nostre tavole se non ci fosse l’impollinazione delle api, sarebbe una catastrofe per la disponibilità di cibo, collasserebbe un equilibrio che si è realizzato in milioni di anni» immagina il presidente Cirone, ricordando una volta di più quanto siano preziose. Chissà se lo sanno anche i ladri…
Sempre più prezioso. Così il miele sta diventando l’oro della cucina
Negli ultimi due anni, su queste pagine, mi è capitato di scrivere spesso di api, segno che qualcosa di serio è in atto. Da tempo infatti è partito un allarme per il forte decremento delle api e ora siamo giunti al crimine: il loro furto. Gli apicultori hanno sempre praticato commercio e scambi. Ricordo tempo fa in Pianura padana di aver assistito a una «compravendita» di regine. Un mondo di gente sana e appassionata. Ma qualcosa è cambiato: sempre meno api, crollo dell’economia del miele — l’aumento dei prezzi rischia di trasformando in una sorta di «zafferano dolce» — e, prevedibile, avanza il malaffare. È l’ultimo atto di un’emergenza che riguarda economia, ambiente, società. Negli Usa, Obama in persona è intervenuto e una task force di esperti dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e del Dipartimento dell’agricoltura è al lavoro per la conservazione degli impollinatori e la rimozione delle cause del loro declino: parassiti, arrivo di specie aliene killer di api del miele (la Vespa velutina), perdita di variabilità genetica ed esposizione a pesticidi. Quest’ultimo, frutto di un’agricoltura aggressiva e impattante, è probabilmente il più diffuso fattore all’origine della moria di api. Il punto è che i trattamenti chimici garantiscono sì lunga protezione ai vegetali, ma non sono selettivi, risultando tossici per gli insetti. E a rischio non sono solo le api e tutti gli impollinatori, ma un’intera comunità naturale. Un vero allarme ambientale. La scomparsa di questi insetti avrebbe conseguenze ecologiche ben maggiori del crollo dell’economia del miele. Sarebbe compromessa la complessa rete di relazioni fra specie animali e vegetali: sarebbe intaccata la biodiversità. Penso a Giorgio Celli studioso per una vita di api. Nel 2008 ne La mente dell’ape racconta del suo smarrimento quando, giunto in una distesa fiorita, sentì un insolito silenzio. Scoprì che era stata sparsa dieldrina, trattamento letale. Un’apocalisse chimica, scrisse, subodorando la crisi di api, apicultori, ambiente e società.
da Giusi Fasano – Il Corriere della Sera – 15 febbraio 2015