I Veneti che nel 1866 votarono l’annessione all’Italia, non erano poi così liberi di scegliere. Niente voto segreto, a vigilare i carabinieri con la baionetta in spalla e schede di colore diverso per identificare i riottosi. Quello che venne spacciato per un plebiscito fu solo il risultato di una manovra forzata dal potere centrale, che non poteva permettersi defezioni alla nascita dell’Italia unita, già così fragile. I Veneti dissero sì, piegando la testa alla violenza, sacrificati alla ragion di Stato, e, infatti, ci persero, con l’annessione e parecchio.
Storia, identità e ricchezze, diventarono una regione qualunque, anzi, terra sbeffeggiata, animale da soma per un carrozzone dalle ruote quadrate. E tanti furono quelli costretti ad emigrare, per cercar fortuna.
È questa la storia che sui libri di scuola non leggeremo mai. La storia di una regione annessa all’Italia solo nel 1866, cioè cinque anni dopo la nascita del Regno, proclamato da Vittorio Emanuele II il 17 marzo del 1861, ceduta come un bottino di guerra e poi legata con un voto «privo di qualsiasi segretezza che si tenne in un clima di intimidazioni e minacce».
E pensare che senza quel voto, il Veneto sarebbe potuto diventare un altro Lussemburgo. Niente sogni, sono tutti dati storici. A promuovere l’operazione-verità su quella che è stata la storia del Veneto e su quello che, invece, poteva essere, è il Comitato 1866, una «iniziativa nata da 12 amici» che si è presentata ufficialmente a Palazzo Balbi qualche giorno fa. Per i prossimi mesi, in collaborazione con associazioni culturali, il Comitato ha messo a calendario diverse iniziative tra cui il capodanno veneto, da celebrare tra il 27 febbraio e il 6 marzo, e una ricostruzione, in chiave moderna, di quanto realmente accadde 150anni fa, da allestire nelle piazze di quante più città possibili il prossimo ottobre. Un gioco di ruolo, dove il Veneto di oggi sarà quello di allora, portato a scegliere del suo destino sotto la minaccia delle armi. Un modo per far emergere il tema politico dell’identità veneta, proprio nell’anno in cui si terrà referendum sull’autonomia della Regione.
Ma cosa accadde esattamente 150 anni fa? Il 21 e 22 ottobre del 1866 i veneti votarono per «dichiarare la propria unione al Regno d’Italia sotto il governo monarchico costituzionale». Secondo la storiografia ufficiale ci furono 647.426 «sì», 69 «no», e 273 schede nulle: un vero e proprio plebiscito. La verità, però, sta nelle pieghe della storia: «Era appena finita la terza guerra d’Indipendenza e pochi mesi dopo che gli equipaggi veneti della marina austriaca avevano sconfitto l’esercito italiano a Lissa, l’Austria aveva ceduto alla Francia le terre venete affiché le passasse all’Italia», spiega Ilaria Brunelli, la presidente del Comitato 1866. Il trattato di pace, però, prevedeva per l’annessione il «consenso delle popolazioni debitamente consultate».
Consultazione fu, ma non certo libera. «I Savoia volevano assolutamente le Venezie» continua la Brunelli«e il voto fu pilotato». La votazione «si tenne sotto occupazione militare in un clima di minacce e intimidazioni con malavitosi e loschi individui che si aggiravano armati ai seggi e che distribuivano le schede per i sì in numero fino a dieci volte superiore a quelle dei “no”». Votarono in pochissimi, solo il 27% si recò ai seggi «fra brogli di ogni genere», si legge nelle descrizioni del Comitato. Il tutto mentre «per non rischiare cinque giorni prima del voto le truppe italiane occuparono Verona» e il 19 ottobre «La bandiera Reale italiana sventola dalle antenne di piazza San Marco».
E dire che il Veneto poteva finire come il Lussemburgo, unico granducato al mondo, ricchissimo e fondamentale crocevia finanziario. A dirlo sono i politici di allora: «La questione della Venezia sarà precisamente quella del Lussemburgo nei confronti della Confederazione germanica» scriveva Napoleone III all’Imperatore Francesco Giuseppe, il 24 luglio 1859. Invece andò così: la Scozia fu annessa al Regno Unito nel 1707, la Catalunya alla Spagna nel 1714 e il Veneto fu annesso all’Italia nel 1866. «Destini comuni che spiegano l’attuale situazione politica dei tre territori» scrive ancora il Comitato. E se oggi i veneti, guardandosi indietro, lo pretendessero quel «diritto di autodeterminazione» sancito nel trattato di Pace e poi disatteso da un voto pilotato? L’obiettivo è proprio questo: riportare il tema al tavolo della politica dopo aver guardato in faccia la realtà storica che segnò il destino di un popolo. «Dopo 150 anni non è forse il momento di chiedere ai Veneti se vogliono stare ancora in Italia?».
Libero – 21 gennaio 2016