Redditi bassi sacrificati per salvare la sanità. Ma il governo chiede di più alle banche e 700 milioni alle Regioni
di Alessandro Barbera. Capita talvolta di dover scegliere il male minore. Capita, per ambizione, di spingersi oltre il possibile. Ieri Renzi aveva di fronte a sé due opzioni. Le tabelle che i tecnici gli avevano preparato non lasciavano vie d’uscita. Escluse le pensioni o interventi che avrebbero lasciato per strada qualche migliaio di dipendenti pubblici, l’unica voce che avrebbe potuto garantire coperture sicure all’allagamento del bonus ai più poveri era un taglio netto alla sanità per un miliardo di euro. Come è nello stile dell’uomo, tutto è avvenuto molto rapidamente. Nel pomeriggio, poco prima di entrare in consiglio dei ministri, Renzi su twitter si era sbilanciato: «Non ci sono tagli alla sanità», in ogni caso «riduciamo le tasse a quindici milioni di italiani». Era quel che lui stesso aveva chiesto nonostante le prime simulazioni non lo prevedessero.
Promettere ottanta euro a dieci milioni di italiani era di per sé una sfida enorme: quasi sette miliardi di minori entrate. Dare un aiuto altrettanto sostanzioso ad altri cinque milioni di persone significava avere a disposizione altri due miliardi. Le bozze circolate fino a 24 ore prima del consiglio facevano i conti con le risorse limitate: fra i 25 e i 40 euro a lavoratore. Troppo pochi per giustificare un taglio alla spesa sanitaria. Renzi ha preferito concentrarsi sulla fascia di reddito mediana, la più numerosa, quella che paga più tasse e alla quale sin dall’inizio aveva promesso il bonus. Per sottolineare la scelta ha insistito per un ritocco all’insù dell’erogazione: da 620 a 640 euro, che diviso per otto fa esattamente ottanta euro. Il resto lo hanno fatto le resistenze della ministra Lorenzin e delle Regioni. Renzi ha fatto di necessità virtù, ma non ha rinunciato a dare un segnale a chi nei tagli – quelli agli sprechi – vede il segno di un governo capace di decidere. Nel corso di quest’anno le Regioni dovranno dare il loro contributo ai risparmi per 700 milioni di euro, decidendo in autonomia dove risparmiare. Il messaggio è chiaro: cari presidenti, o tagliate le poltrone, o vi assumete la responsabilità di ridurre i posti letto ai malati. Per compensare il mancato taglio ha anche battagliato con le banche, alle quali ha raddoppiato la tassa sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia.
«Ancora ieri mattina i numeri su sanità, Difesa e Pubblica amministrazione erano molto diversi», spiega una fonte di governo che preferisce non essere citata. Sugli F35 Renzi per ora ottiene un taglio al programma di 150 milioni di euro, 400 per l’intero comparto. Sul taglio degli stipendi ai dipendenti pubblici strappa la conferma del tetto massimo per le retribuzioni a 240mila euro ma deve rinunciare alle quattro fasce di redditi previsti dalle prime bozze. Su questo nel governo pochi credevano che il premier avrebbe potuto andare fino in fondo. Ci sono due sentenze della Corte Costituzionale contro ogni contributo di solidarietà applicato ai soli dipendenti pubblici – e non a tutti, come prevede il principio di equità fiscale – oltre a quintali di giurisprudenza che avrebbero tutelato i diritti acquisiti di dipendenti firmatari di accordi collettivi di lavoro.
Spiega il sottosegretario Pierpaolo Baretta: «Una cosa è ridurre la parte variabile di uno stipendio, come è il caso dei dirigenti di Palazzo Chigi, in quel caso è il datore di lavoro che interviene sulla base di un accordo contrattuale. In questo caso il taglio si può fare subito. Altra cosa è ridurre gli stipendi per legge. Di questo si può parlare in sede di riforma della pubblica amministrazione o di contrattazione». Anche in questo caso Renzi ha però fissato le sue bandierine: il decreto dice che entro il 30 giugno gli organi costituzionali (Camera, Senato, Presidenza della Repubblica e Corte Costituzionale) dovranno contribuire alla riduzione della spesa per 55 milioni di euro. Nei gruppi di maggioranza alla Camera ci sono già state riunioni per discutere una proposta da presentare a Laura Boldrini. Stessa cosa, «nella loro autonomia», dovranno fare i magistrati. La politica è l’arte del possibile, la strada per ottenere di più passa anche da questi messaggi.
La Stampa – 19 aprile 2014