Trecento consiglieri in meno (ma dalla prossima legislatura), colpo d’accetta e tetto a stipendi e fondi ai gruppi politici da uniformare in tutta Italia con tanto di taglio dei trasferimenti alle Regioni che restano inerti, trasparenza dei bilanci anche su internet, controlli alla Corte dei conti. I governatori cercano di uscire dall’angolo in cui sono finiti dopo il “caso Lazio”, ma non solo, dei super costi della politica locale. E al Governo chiedono di fare subito, con un decreto legge, entro la prossima settimana. L’obiettivo è chiaro: affrontare l’emergenza per uscire al più presto dalla graticola mediatica che altrimenti avrebbe effetti ancora più devastanti per il sistema politico locale. E intanto si scopre che Franco Fiorito godrà di un congruo vitalizio a 50 anni: grazie ad un emendamento proposto dallo stesso Fiorito e approvato nel dicembre scorso.
Non è un caso che per ora le Regioni non si pronunciano sul Ddl costituzionale che il Governo ha nel cassetto e che seppellirebbe tanti poteri frutto del federalismo all’italiana con cui conviviamo.
In mattinata oltre due ore a porte chiuse a parlare tra di loro e maturare una risoluzione comune. Poi nel pomeriggio, prima in delegazione al Quirinale da Giorgio Napolitano, quindi a palazzo Chigi dal sottosegretario Antonio Catricalà, i governatori hanno illustrato le proprie proposte. «Il presidente della Repubblica ha espresso il suo apprezzamento per la sensibilità e la disponibilità così dimostrate in un momento particolarmente critico della vita istituzionale del Paese», la nota diffusa dal Quirinale. L’incontro con Catricalà è servito a chiarire qualcosa in più. Anche sui tempi del decreto legge. Bocche cucite, invece, sul Ddl costituzionale che spunterebbe le unghie (ma da quando?) al federalismo. Tutti aspetti di cui i governatori parleranno ancora oggi in una «Conferenza straordinaria» che è stata convocata per questa mattina.
«Abrogheremo ostriche e champagne», ha commentato Roberto Formigoni (Pdl, Lombardia) rivendicando che «non tutte le Regioni sono uguali». «Solo il rinnovamento morale può salvare l’Italia», twittava invece Enrico Rossi (Pd, Toscana). Mentre Vasco Errani (Pd, Emilia Romagna, rappresentante dei governatori) annunciava l’«apprezzamento» espresso anche da palazzo Chigi.
Gli interventi proposti dai governatori si muovono su tre livelli. Anzitutto quella che definiscono una riduzione «netta e significativa» dei costi della politica: si tratterebbe del taglio (a futura memoria) dei consiglieri in applicazione della manovra-Tremonti del 2011 per chi non lo ha già fatto, con l’«omogeneizzazione» dei trattamenti economici seguendo «le migliori pratiche regionali». Tetti e stipendi uguali per tutti, dai presidenti ai consiglieri. E ridotti, naturalmente, tanto che qualcuno azzarda un risparmio intorno ai 500 milioni l’anno. Chissà se parametrando le cifre anche al numero di abitanti di ogni Regione. Lombardia, Emilia e Toscana dovrebbero essere le meno colpite, dal Lazio in giù l’accetta calerebbe pesantemente.
Poi scatterebbe anche la tagliola dei fondi ai gruppi politici, inclusa un’operazione di «piena trasparenza» di pubblicità (a partire da internet) dei costi di funzionamento delle istituzioni. Terzo punto, il ruolo principe di controllo affidato alla Corte dei conti su tutti i costi della politica. «Sono sgomento per le disfunzioni che sembrebbero emerse in alcuni organi costituzionali», ha fatto sapere intanto ieri il presidente della magistratura contabile, Luigi Giampaolino. Un pre allarme in piena regola.
di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore)
Nessuna sforbiciata sui fondi dei gruppi
Sui contributi avanti in ordine sparso E l’esecutivo non potrà regolare neppure gli oltre 100 «monogruppi»
Un decreto legge da varare subito, forse già la prossima settimana, per rafforzare e dare attuazione ai tagli al costo della politica degli enti locali. Una sforbiciata che era peraltro già prevista da una legge, per la precisione l’ultimo decreto del governo Berlusconi dell’agosto 2011, pressoché ignorata fino all’esplosione dello scandalo alla Regione Lazio, e che oggi sono gli stessi governatori a chiedere di applicare. Prevedendo questa volta oltre ai termini per operare i tagli anche le sanzioni, che in quella legge purtroppo non c’erano, per chi non si adegua.
Stretti dalla crisi che ha drammaticamente ridotto i fondi disponibili, travolti dalla piena della campagna anticasta che finora li aveva solo sfiorati, preoccupati per le prossime scadenze elettorali alle porte, i governatori hanno deciso di rompere gli indugi e promuovere quella che chiamano «autoriforma». Molto ben accolta da Palazzo Chigi e dalle parti del ministero dell’Economia, anche se, si fa notare, di autonomo in questa riforma c’è poco, visto che gran parte dei vincoli esistevano già, almeno sulla carta.
Entro sei mesi dalla data del nuovo decreto, le Regioni dovranno provvedere alla riduzione di un terzo dei consiglieri regionali, che oggi sono la bellezza di 1.183. Secondo i calcoli della Conferenza delle Regioni, il taglio del trenta per cento dovrebbe portare a una riduzione di oltre 300 poltrone, più o meno quelle che sarebbero state cancellate se si fosse data applicazione al decreto di agosto dell’anno scorso. Per evitare che i nuovi obblighi, che il governo non ha poteri per imporre direttamente alle Regioni, restino solo sulla carta, il decreto dovrebbe prevedere, su suggerimento delle stesse Regioni, un meccanismo forte di incentivi e penalizzazioni, compreso un eventuale blocco dei trasferimenti, cioè dei fondi girati dallo Stato centrale alle autonomie locali per svolgere le proprie funzioni.
Il taglio uniforme del 30% del numero dei consiglieri regionali potrà portare ad un buon risparmio di spesa, ma secondo i tecnici dell’Economia non risolverebbe la confusione e la «sperequazione» dell’attuale rappresentanza politica nelle amministrazioni locali. A fronte di una media nazionale di un consigliere regionale per ogni 50 mila abitanti, in Val d’Aosta ce n’è uno ogni 3.618 cittadini, in Molise uno ogni diecimila, in Trentino Alto Adige uno ogni settemila (considerando anche i consiglieri delle due Province autonome), mentre in Lombardia ce n’è uno ogni 122 mila abitanti. Così non si esclude che il governo possa riproporre alle Regioni la formula del decreto di agosto 2011: 20 consiglieri nelle Regioni fino a un milione di abitanti, 30 fino a due milioni, 40 fino a quattro milioni, 50 fino a sei, 70 consiglieri fino a otto milioni di abitanti, 80 rappresentanti in Consiglio se gli abitanti superano i nove milioni (cioè solo in Lombardia).
Oltre al taglio dei consiglieri i governatori propongono che sia data «piena trasparenza ai dati relativi ai costi di funzionamento delle Istituzioni e dei gruppi consiliari», e di attivare «procedure di controllo, attraverso la Corte dei conti, anche per le spese connesse ai costi della politica». Nessuna indicazione specifica sul controllo dei gruppi consiliari. Si richiedono trasparenza e spese se possibile certificate, ma non c’è il colpo di scure che pure qualcuno si augurava sui finanziamenti pubblici di cui i gruppi godono. È vero, tuttavia, che molte Regioni si stanno già muovendo autonomamente su questa strada. Abruzzo ed Emilia-Romagna ricorrono già a revisori esterni, il Piemonte pensa all’autocertificazione, mentre la Campania ha deciso proprio ieri la riduzione del 50% dei fondi destinati ai gruppi politici. Ma non c’è una linea di indirizzo comune. E non c’è neanche sulla composizione dei gruppi, che in moltissimi casi, nei Consigli regionali, sono fatti da un solo eletto. Che naturalmente gode di tutte le prerogative di un «gruppo», prima tra tutte il rimborso delle spese legate all’attività politica. Nei 20 Consigli regionali, oggi, i gruppi politici rappresentati sono 220. Dei quali quasi la metà ha un solo componente: in Piemonte su 15 i «monogruppi» sono 8, nel Lazio 8 su 17, nelle Marche 6 su 15. Tutti ambiti in cui il governo non potrà emanare norme direttamente vincolanti. Anche se Monti e i suoi ministri non hanno intenzione di mollare la presa. Venerdì prossimo, intanto, arriva la stretta sui costi dei Comuni e delle Province. Per polizia locale e incentivi al lavoro, i costi standard saranno pubblicati su Internet, così ogni cittadino saprà chi gestisce bene il denaro pubblico e chi lo spreca.
Mario Sensini – Corriuere della Sera – 27 ottobre 2012
Fiorito andrà in pensione a 50 anni con vitalizio da 4mila euro al mese
Grazie ad un emendamento proposto dallo stesso Fiorito e approvato nel dicembre scorso
Franco Fiorito, tra nove anni, a soli 50 anni potrà incassare il vitalizio di circa 4mila euro al mese che spetta agli ex consiglieri della regione Lazio. Tutto questo grazie ad un emendamento proposto proprio dallo stesso Fiorito (che chiedeva l’indicizzazione) e approvato nel dicembre scorso in Commissione Bilancio del Consiglio regionale da: Pdl, Udc, Lista Polverini e Lista Storace. L’emendamento Fiorito incassò il parere favorevole anche dell’assessore al Bilancio, Stefano Cetica, uno dei 14 assessori esterni della giunta Polverini a percepire il vitalizio. E i tagli ai vitalizi votati dalla Regione? Entreranno in vigore solo a partire dalla prossima legislatura.
I CONTI – Come scrive Il Giornale «la legge del Lazio del 1995 prevede come base di calcolo l’80% dell’indennità parlamentare (circa 5.200 euro) più l’intera diaria (3500 euro) per un totale di quasi 9mila euro. L’importo del vitalizio poi si ottiene a seconda degli anni di consiliatura. A Fiorito, che aveva già all’attivo una legislatura prima di quella targata Polverini, spetta il 40%, quindi circa 4mila euro al mese». Il diritto all’assegno maturerebbe a 55 anni ma rinunciando a una piccola percentuale si può anticipare a 50 anni, quindi anche Fiorito potrebbe seguire qusto iter. Tutto questo anche se la legislatura finisce in anticipo (così come sembra) rispetto alla sua scadenza naturale.
FOSCHI – Intanto il consigliere regionale del Pd alla Regione Lazio Enzo Foschi, ha deciso di rinunciare al vitalizio maturato in questa legislatura. Lo ha annunciato lui stesso in una nota. «Rinuncio al vitalizio maturato in questa legislatura – spiega -. Non perché io abbia rubato o compiuto illegalità, non ho visto un euro di quei 100 mila di cui parla Fiorito, ma perché come esponente del consiglio regionale per il Pd mi sento moralmente responsabile di quanto accaduto. Ma, e questo deve essere chiaro, non tutti fanno politica per fare soldi, perlomeno io non sono fra questi. La politica è passione e servizio. Il mio gesto vuole essere semplicemente un risarcimento a un’istituzione ferita nella sua sacralità – continua Foschi -, nei confronti dei cittadini giustamente offesi da quanto accaduto e anche per rispetto verso gli uomini e le donne che volontariamente nel quotidiano si impegnano nei circoli del Pd. Per queste ragioni ho già presentato la mia lettera formale al presidente del Consiglio del Lazio. Sarebbe bello se anche i miei colleghi della Pisana facessero altrettanto».
Corriere.it – 27 settembre 2012