Regolamentazione volontaria insufficiente: multinazionali cibo come quelle tabacco
Accuse pesanti dalla rivista scientifica più prestigiosa: sul Lancet, spiegate le tattiche comunemente usate dai grandi gruppi industriali per tenersi le mani libere impedendo la prevenzione delle più comuni malattie non trasmissibili (NCD, cancro, infarto, diabete….)
L’articolo contiene aspetti di assoluta novità. Intanto per la prima volta, si considerano nell’insieme “commodity industriali malsane”, categoria che include alcol, tabacco e cibi ultra-trasformati.
Ancora, si considerano in un’unica categoria le multinazionali che le producono, che avrebbero un tratto comune nel volgere a proprio favore la legislazione o i quadri di policy, in ragione del proprio peso specifico e della capacità di condizionare la scena pubblica.
Partendo dai presupposti delle Nazioni Unite, e segnatamente dall’obiettivo del 2011 di ridurre la mortalità prematura del 25% entro il 2025, ci si è interrogati sul ruolo che attori privati come le multinazionali che li producono potrebbero avere. La risposta, dopo una disamina approfondita, è la seguente: nessun ruolo.
Se in precedenza è stato dimostrato come il ruolo dell’industria del tabacco fosse non conciliabile, gli autori hanno proceduto a verificare anche il ruolo dell’industria alimentare e dell’alcol.
Le conclusioni sono che nonostante la diffusa tendenza a coinvolgere tali multinazionali in programmi di salute pubblica, non vi sono evidenze che le loro azioni possano contribuire a migliorare la salute pubblica.
E gli unici interventi possibili con una solida giustificazione a partire dall’evidenza, sono quelli di regolamentazione di mercato o di legislazione pubblica.
Le tattiche
Ma quali sono le tattiche più diffuse?
1. falsare i risultati degli studi. E’ provata la correlazione tra chi finanzia lo studio ed esito dello stesso. E’ stato fatto dall’industria del tabacco e dall’industria alimentare. Se è quest’ultima a finanziare gli studi, i risultati saranno dalle 4 alle 8 volte con maggiore possibilità di avere risultati favorevoli all’industria.
2. co-optare i policy maker, con una serie di partenariati e redigere le politiche pubbliche per contrastare alcolismo, obesità e cattiva alimentazione.
3. Lobby intensa su politici e regolatori per impedire l’adozione di quadri normativi più rigidi.
4. incoraggiare l’opposizione dei cittadini con l’argomento della “libertà di scelta” individuale.
Ricordiamo che in passato avevamo sottolineato come gli sforzi dell’industria fossero stati considerati insufficienti: e gli impegni a riformulare i prodotti per lo più erano falliti (City University, Londra e progetto StanMark)
Nell’articolo, si evidenzia come sia le vendite di tabacco che di soft drinks seguano un trend crescente soprattutto nei paesi a basso reddito, con un evidente conflitto di interesse in capo alle industrie che li vendono nel decidere di aiutare le popolazioni a smettere di consumarli.
sicurezzaalimentare.it – 21 febbraio 2013