di Roberto La Pira dal Fatto alimentare. Un carico di 26 mila tonnellate di mais contaminato da diossine e destinato agli allevamenti è arrivato in Italia, purtroppo più della metà del carico è stato probabilmente già dato agli animali. La questione è seria e forse ci troviamo di fronte a quello che potrebbe diventare un grande scandalo alimentare. Non si tratta di una frode commerciale come quella della carne di cavallo, ma di un contaminante cancerogeno arrivato attraverso il cibo a migliaia di animali. La storia comincia il 7 aprile 2014 quando una nave ucraina arriva nel porto di Ravenna e scarica 26.059 tonnellate di mais contaminato da diossine. Tutto il lotto viene stoccato nei silos e poi distribuito alle aziende mangimistiche che in parte lo trasformano in farina e in parte lo mischiano ad altri ingredienti per ottenere mangime completo.
A questo punto la farina di mais e il mangime contaminati finiscono in migliaia di allevamenti e dati agli animali come razione giornaliera. Stiamo parlando di mucche da latte, bovini da carne, polli, maiali e, in alcuni casi, preparati alimentare per animali domestici venduti al supermercato.
Tutto ciò accade perché il lotto sfugge ai primi controlli. Solo due mesi dopo (l’11 giugno 2014), nel corso di un accertamento dall’Ausl di Piacenza, si scopre che il mais è fortemente contaminato da diossine e scatta immediatamente l’allerta. Le analisi condotte dall’Istituto zooprofilattico di Bologna assegnano al lotto una presenza di 2,92-3,19 pgWHO TEQ/g di diossine e PCB DL. Si tratta di valori troppo alti rispetto al limite di 0,75-1,50 pgWHO TEQ/g.
La questione è seria, e viene inviata una notifica al Sistema di allerta europeo (Rasff) che la rilancia subito in rete. Un aggiornamento è fatto il 17 giugno con l’elenco dei mangimifici coinvolti e la segnalazione viene trasformata subito in allerta. Due giorni dopo giovedì 19 giugno Il Fatto Alimentare pubblica il primo articolo e racconta la storia del mais contaminato. Il 20 giugno c’è un nuovo aggiornamento del Rasff e finalmente il Ministero della salute diffonde un primo comunicato stampa abbastanza generico, dove spiega che sono state attivate le procedure per rintracciare e bloccare il lotto. Nella nota si dice che verranno intercettati gli allevamenti e gli alimenti provenienti da animali alimentati con il mais.
Per rendersi conto delle dimensioni del problema basta dire che l’allerta interessa 12 Regioni e più precisamente: Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Toscana, Lazio, Umbria, Calabria e Sicilia. Mentre scriviamo sono in corso in tutte le Regioni riunioni per mettere a punto il piano di azione che coinvolgerà centinaia di aziende alimentari e migliaia di allevamenti. Senza fare allarmismo e però doveroso dire che molto probabilmente cibo contaminato sia già stato venduto e consumato. Il lotto è troppo consistente per essere ottimisti, stiamo parlando di 26.059 tonnellate, ovvero all’equivalente di un raccolto ricavato da un campo di forma quadrata con un lato di 26 km!
In questa vicenda l’unica nota positiva è che 5.000 tonnellate sono rimaste nei silos e sono state immediatamente sequestrate. La rimanente quota però (21.000 tonnellate) è stata in parte commercializzata come farina e in parte miscelata in misura variabile (dall’1 al 60% ) con altri ingredienti per diventare mangime completo per bovini da latte e da carne, per maiali e polli e pesci. Un’altra quota è stata utilizzata dagli allevatori come complemento del pasto dato agli animali insieme a insilato e altri ingredienti autoprodotti dalle aziende agricole.
Alla fine le possibilità sono molteplici. C’è chi ha comprato a fine aprile il mangime contaminato e lo ha somministrato ogni giorno agli animali, chi lo ha mischiato con altri ingredienti e chi ha usato solo la farina. In ogni caso è realistico ipotizzare che un esercito di animali da diverse settimane sia alimentato con derivati del mais ucraino contaminato. Il problema è che la diossina è una sostanza cancerogena liposolubile che si accumula nel grasso degli animali e finisce inevitabilmente nel latte nelle uova e in minor misura nella carne. Il direttore generale del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria del Ministero della salute, il 20 giugno ha allertato tutte le associazioni di allevatori, di produttori di carne, di polli e uova, oltre all’associazione dei caseifici e delle latterie incluso le associazioni degli allevatori di pesci.
A questo punto la cosa importante è capire se e quanta diossina è arrivata nel cibo e gestire in modo intelligente la situazione che si presenta comunque molto complessa. Secondo informazioni riservate raccolte da Il Fatto Alimentare è stato avviato immediatamente un piano di monitoraggio e attraverso la rintracciabilità (obbligatoria anche per i mangimi) sono già stati individuati tutti gli allevamenti coinvolti.
Il Ministero ha deciso di intervenire negli allevamenti che hanno somministrato agli animali come razione quotidiana una quantità di mais ucraino superiore o uguale al 32% del pasto (quota che lievita al 74% per gli allevamenti di pesci e il cibo per animali domestici in vendita al supermercato).Gli allevamenti che autocertificano di avere dato nel pasto quotidiano percentuali inferiori di mais contaminato possono continuare a commercializzare carne, latte e uova. Negli altri casi il Ministero ha deciso di bloccare sia la distribuzione del latte e delle uova sia quello della carne. Come si vede la situazione è complessa perché gli allevamenti coinvolti sono migliaia. Secondo dati a nostra disposizione in una delle Regioni del nord Italia su 240 allevamenti più della metà ha somministrato mangime con quantità di mais alla diossina superiore al 32%.
A livello analitico è stato deciso di effettuare altre 12 analisi sul mais contaminato per valutare meglio l’entità dell’inquinamento e quindi stabilire i livelli di attenzione da non superare. A questa prima fase ne seguirà immediatamente una seconda con le analisi sulle uova sulla carne dei polli e del latte degli animali che hanno mangiato mais ucraino per valutare meglio i livelli di diossina eventualmente presenti. Vi terremo aggiornati.
Roberto La Pira – Il Fatto alimentare – 23 giugno 2014