«L’approvazione dei decreti viaggia a ritmi soddisfacenti, ma ora si apre la fase della realizzazione della riforma e serve un’alleanza con i cittadini, i dipendenti pubblici e gli enti territoriali». Al compleanno dell’approvazione della delega sulla Pa, l’attuazione è al giro di boa fra provvedimenti approvati o in vista del traguardo (a partire dal testo sulle partecipate) e quelli in decollo. Per il sottosegretario Angelo Rughetti «la questione ora è tradurre le nuove regole in comportamenti, superando il peccato originale di un Paese attentissimo nella scrittura delle norme ma distratto poi sulla applicazione. In questo anche i cittadini devono avere un ruolo, grazie al Freedom of Information Act». Lei invoca l’alleanza con i dipendenti pubblici, ma per costruirla servirebbe sbloccare i contratti, premessa non facile. «Intanto domani arriva la firma definitiva dell’intesa sui quattro comparti, poi partirà il confronto con i sindacati sui contratti e sulla riforma del pubblico impiego».
«I temi viaggiano insieme, anche perché il nuovo testo unico deve ridare alla contrattazione materie che la riforma del 2009 aveva tolto, fissando griglie troppo rigide per funzionare».
Il tentativo era imporre una “meritocrazia” che i contratti non producevano. Scelta sbagliata?
«Scelta dettata dalla sfiducia sul fatto che le relazioni industriali possano creare valore aggiunto. Resto invece convinto che dal confronto con i lavoratori possano venire molte idee».
Con 300 milioni sul piatto però la sfida non è semplice.
«Facciamo i conti con un quadro di finanza pubblica rigido ma le possibilità di aggiungere risorse dipendono anche dalle prospettive di crescita del Paese».
Si è detto che l’atto di indirizzo chiederà di prevedere interventi in busta paga concentrati sulle fasce di reddito basse. Conferma?
«Sì, e in prospettiva bisognerà aumentare il ruolo della contrattazione decentrata. È un percorso a più tappe, ma penso si debba puntare anche a dare più autonomia alle amministrazioni virtuose. La riforma cambia l’impostazione della Pa, orientandola sui livelli di servizio al cittadino più che sulla ripartizione per competenze. In uno slogan l’articolo 3 della Costituzione “vince” sul 117, quindi anche l’organizzazione del lavoro deve seguire questa visione».
In che modo?
«Fissando una serie di “obiettivi della Repubblica”, e premiando chi li raggiunge. Se un ente rispetta i vincoli di finanza pubblica, paga in tempo i fornitori, ha digitalizzato in modo efficace i processi, non ha casi di corruzione, perché devo sindacare dettagli su come finanzia i fondi per la produttività? L’esperienza insegna che le regole di dettaglio non funzionano, occorre responsabilizzare di più amministrazioni e dirigenti».
Sui dirigenti, però, la critica è che il ruolo unico sottragga autonomia e li renda subalterni alla politica.
Che cosa accade oggi? Con uno scritto e orale reclutiamo dirigenti che poi ottengono incarichi a discrezione dei politici. Con la riforma puntiamo sulle competenze, formiamo a risolvere problemi, non a darci pareri giuridici, e introduciamo metodi di selezione su esami obiettivi del curriculum affidati a commissioni di esperti. Così si affievolisce il potere della politica e si punta ad avere una dirigenza meno “relazionale”».
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 12 luglio 2016