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Sanità, la mappa del potere in Veneto. Zaia e l’Azienda Zero, l’uomo solo al comando. Mantoan il contratto rinnovato

mantozaiaLa progettata riforma della sanità, nelle sue ormai varie versioni, il ruolo “egemone” dell’Azienda zero, i rapporti tra il presidente Luca Zaia e il dg della sanità Domenico Mantoan, le nomine di fine dicembre dei direttori generali delle Ulss e altro ancora sono al centro di un ampio servizio che una delle firme storiche del Mattino di Padova, Renzo Mazzaro, ha dedicato ieri alla mappa del potere nella sanità veneta. A partire dalla delibera che rinnova il contratto del tecnico approvata a metà settembre e pubblicata sul Bur solo il 15 dicembre, con un aumento di 1.081 euro lordi al mese. «Nessun contrasto. Mantoan ha la mia totale e piena fiducia, non a caso l’ho confermato con una delibera». Così sul Mattino il governatore ha liquidato le voci di una tensione tra lui e il tecnico. Ma, secondo il quotidiano, un dissenso ci sarebbe stato e i motivi sarebbero riconducibili al ruolo “egemone” che Mantoan si era ritagliato all’interno dell’Azienda Zero. E a completare il quadro  le lamentele degli assessori Luca Coletto e Manuela Lanzarin.

Di seguito gli articoli del Mattino di Padova del 29 gennaio

ZAIA E L’AZIENDA ZERO, L’UOMO SOLO AL COMANDO

La riforma imita il modello toscano e punta risparmiare 60 milioni di euro Le nuove aziende provinciali hanno riacquistato autonomia di spesa

di Renzo Mazzaro. Un milione di abitanti e un uomo solo al comando, responsabile di medici ospedalieri, medici di base, primari, infermieri, tecnici, amministrativi, uscieri, ispettori, fornitori, servizi sociosanitari. Interlocutore unico di sindacati, avvocati, assicuratori, enti convenzionati, amministrazioni locali e soprattutto della misteriosa Azienda Zero, la moderna Araba Fenice della sanità veneta: che ci sia ognun lo dice, cosa faccia nessun lo sa.

Luca Zaia si prende tutta la responsabilità della riorganizzazione della sanità avviata a capodanno, mentre i veneti digerivano zampone e lenticchie. Ma chi corre sul territorio e risponde agli utenti non è lui e neanche il suo luogotenente Domenico Mantoan. Sono i 7 direttori generali confermati sull’intelaiatura delle 21 Usl ancora esistenti, con il compito di commissariare quelle destinate alla fusione.

Girano come trottole. Saltellano da una riunione all’altra per tranquillizzare i dipendenti. Per garantire che niente cambierà. Impossibile. Che riorganizzazione sarebbe? Non ci vuole Pico della Mirandola per intuire che nell’accorpamento di più Usl i laboratori di analisi, le ambulanze, il pronto soccorso, i reparti poco utilizzati o doppioni di altri, saranno i primi a subire contraccolpi. Con ricadute sugli utenti. Positive, si spera. Ma come, di preciso?

Nessuno l’ha capito, nessuno lo dice. Non esistono simulazioni. Chi ha responsabilità cerca solo il consenso. Chi è stato bocciato aspetta il ripescaggio. Quelli che fanno dichiarazioni parlano in politichese. Hanno ragione alla Cgil: «C’è un clima di terrorismo allo stato puro», dice Daniele Giordano. «Vietato parlare, nessuna critica ad un progetto destinato a migliorare il sistema».

Con tutto quello che invece ci sarebbe da dire. Sui medici di base e l’ambulatorio aperto 24 ore. Sui medici ospedalieri e i turni con intervallo obbligatorio di 11 ore. Sulle 500 assunzioni di infermieri, promesse e mai viste. Sui costi del personale. Sulle liste d’attesa, di cui non vengono forniti i dati. Sulle prestazioni serali, se siano davvero prestazioni in più. Sugli accessi al pronto soccorso: «Mancano dati sugli utenti, soprattutto in pediatria, che entrano con un codice giallo ed escono con uno verde o bianco, per i quali si deve pagare il ticket», accusa Giordano.

Il “mostro” da un milione di abitanti, per la precisione 935.699, è l’azienda unica di Padova, ottenuta accorpando la 17 di Monselice-Este, la 15 di Cittadella-Camposampiero e la 16 Padova città, con dg Claudio Dario. Il secondo colosso per bacino di utenti è l’azienda di Verona, dove Pietro Girardi farà il lavoro dei tre predecessori che gestivano la Usl 21 di Legnago, la 22 di Bussolengo e la 20 di Verona capoluogo. La terza azienda unica, la prima per numero di dipendenti (ben 9.002), è quella di Treviso, ottenuta frullando l’Usl 7 di Pieve di Soligo, la 8 di Asolo e la 9 di Treviso città, con dg Francesco Benazzi.

Per Venezia e Vicenza il manovratore ha introdotto una variante. L’azienda veneziana unifica la 10 di Mestre-Venezia, la 13 di Mirano e la 14 di Chioggia, nelle mani di Giuseppe Dal Ben, ma lascia fuori il Veneto orientale. Quella di Vicenza accorpa l’Usl 6 del capoluogo e la 5 di Azignano, con dg Giovanni Pavesi, ma lascia fuori il Bassanese. Sono riserve indiane, create per «salvaguardare territori con una loro identità». In effetti, frugando nella memoria, sovviene che alcuni Comuni del Veneto orientale volevano passare in Friuli. Nel Vicentino un referendum puntava addirittura a costituire la provincia di Bassano. A parte che sembrano mille anni fa, c’entra qualcosa con la sanità?

Soltanto l’azienda unica di Belluno (dg Adriano Rasi Caldogno) e quella di Rovigo (dg Fernando Compostella), pur assorbendo rispettivamente l’Usl 2 di Feltre e la 19 di Adria, hanno una dimensione compatibile con il tetto di 250-300.000 abitanti. Tetto previsto dal piano sanitario ancora in funzione, scritto dallo stesso manovratore che oggi pare ignorarlo, per rendere possibile l’integrazione tra ospedali e medicina del territorio. Cioè per evitare che andiamo tutti, ogni volta, al pronto soccorso.

La dimensione non è neutra, è un acceleratore di inefficienza. Più cresciamo in dimensione, più sfugge il controllo, più la gente è spinta ad arrangiarsi. Perché correre questo rischio? Per risparmiare, rispondono da Palazzo Balbi. Luca Zaia parla di 60 milioni l’anno. Altre fonti dicono 90 milioni. Su 8 miliardi di spesa della sanità veneta?

Purtroppo il passaggio è obbligato. La riorganizzazione è una necessità nazionale, imposta dalla durezza dei tempi. Il Veneto si accoda all’odiata Toscana di Matteo Renzi, dove hanno rimpastato 12 aziende sanitarie riducendole a 3 (tre!), pur avendo 10 province non meno suscettibili delle nostre, visto che a Livorno preferiscono un morto in casa che un pisano all’uscio.

In Toscana la legge istitutiva delle 3 aziende è stata approvata il 28 dicembre. Nel Veneto il Pdl 23, di cui i nuovi direttori generali sono un’anticipazione, andrà in aula solo dopo la finanziaria. In due versioni contrastanti, di cui tutti possono prendere visione: nel testo originale l’Azienda Zero impartisce ordini alle aziende provinciali e ne riceve solo da Domenico Mantoan; nel testo riscritto con un maxiemendamento (della maggioranza!) il dottor Mantoan torna al suo posto, le aziende provinciali riacquistano autonomia e l’Azienda Zero risponde alla giunta e al consiglio regionale. La lettura comparata dei due testi mette inquietudine: abbiamo Giano bifronte al timone?

TREGUA DOPO IL LUNGO BRACCIO DI FERRO TRA MANTOAN E IL PRESIDENTE. LO STIPENDIO VIENE AUMENTATO DI MILLE EURO LORDI AL MESE

di Renzo Mazzaro. La riforma che sta cambiando i connotati della sanità veneta è cominciata con un litigio furioso tra Luca Zaia e Domenico Mantoan, durato un paio di mesi. Oggi il presidente nega infastidito: «Nessun contrasto. Mantoan ha la mia totale e piena fiducia, non a caso l’ho confermato con una delibera».

E’ bello sapere della ritrovata armonia. Con tutto il lavoro che c’è da fare, nessuno tifa per il contrario. Anche la smentita può starci: la delibera è di metà settembre, il litigio comincia subito dopo e va avanti fino al 15 dicembre, quando la tensione rientra e Mantoan firma il contratto.

Ma un baruffone tra il presidente eletto dal popolo e l’uomo da lui scelto per guidare il cambiamento, che nasce per divergenze sulle modalità di questo cambiamento ma si carica di altri motivi ogni giorno che passa, fino a sfiorare la rottura definitiva, è tutto meno che gossip.

Spigolosità di carattere di Mantoan, peraltro ben note. «Solo due istituzioni sono durate nel tempo», spiegò un giorno all’assessore regionale Camillo Cimenti, «la Chiesa e l’esercito». Parlava di sé, perché proviene dalla sanità militare. Era solo ufficiale di complemento ma ne ha fatto una filosofia di vita. Professionista bravo, ma accentratore insopportabile. Capace di trattare come caporali di giornata i due assessori cui fa riferimento, Luca Coletto e Manuela Lanzarin. Non parliamo dei consiglieri, vincono un terno al lotto se ottengono un appuntamento.

Questo il personaggio. Zaia è infastidito dal ruolo egemone che il suo direttore generale si è attribuito nell’Azienda Zero e seccato per le lamentele che gli arrivano. Ottobre, novembre, i due non si parlano neanche più. Il presidente prova a sbolognarlo all’Agenas, l’agenzia nazionale dei servizi sanitari, poi all’Aifa, l’agenzia del farmaco. Niente da fare. E licenziarlo? Balena anche questa ipotesi, ma con una delibera appena firmata che lo riconferma nell’incarico sarebbe un suicidio.

Tanto più che gli uffici gli hanno già inviato la bozza del nuovo contratto. Che l’interessato respinge al mittente, segnando le cifre che non gli vanno bene. Il fascicolo è sul tavolo del segretario generale Luca Felletti, cui tocca applicare la delibera. Comincia un tiramolla, Felletti deve ricucire i rapporti compromessi facendo il giro delle sette chiese, finché anche il duro Mantoan si ammorbidisce e firma il contratto. Con un aumento di 1.081 euro lordi al mese, proprio male non gli è andata. E’ il 15 dicembre, la delibera appare sul Bur.

Pace fatta, o almeno armistizio. Zaia, Coletto e Mantoan si mettono a tavolino e varano la riforma dei direttori generali. Mantoan deve scendere dall’Azienda Zero, in cima alla quale si era issato, ma si rifà sui nomi. Patrizia Simionato, nuovo direttore dell’Istituto oncologico veneto, è sua stretta collaboratrice per le questioni del personale. Passa in tromba Giovanni Pavesi, promosso da Este a Vicenza, alla faccia del benservito che sembrava sul punto di ricevere da Luca Zaia dopo lo scandalo Mose.

Pavesi risultava socio in affari di Giancarlo Galan e altri nella Ihfl spa,società costituita secondo la procura per controllare la realizzazione del nuovo ospedale di Padova. Era obbligato all’esclusiva e aveva nascosto la partecipazione. Doppio conflitto d’interesse, procedimento disciplinare, atti spediti alla magistratura. «Il rapporto fiduciario con il presidente Zaia è minato», scrissero i giornali. Se mai lo fu, è stata la verità d’un momento. Pavesi ha brillantemente superato l’esame, tanto in procura che a Palazzo Balbi. Non così Bortolo Simoni, dg di Asolo, anch’egli socio dell’Ihfl: la troika di Palazzo Balbi l’ha mandato a casa. Con un’altra decina di colleghi, perché bisognava pur scendere da 21 direttori a 9.

Tra i bocciati c’è Gino Gumirato, dg dell’Usl 13 Dolo-Mirano, che ha fatto parte di un gruppo internazionale di consulenti di Barack Obama, nientemeno, per riformare la sanità negli Usa. Chissà come l’hanno presa alla Casa Bianca. Confermato invece Adriano Rasi Caldogno, che è stato segretario generale per 15 anni al Balbi con Giancarlo Galan e poi l’aveva seguito a Roma al ministero.

A Padova Claudio Dario viene spostato dall’A.O. all’azienda unica, dopo che da tre anni lavorava per il nuovo ospedale. Nessuno ci vede una promozione. Al suo posto viene rimpatriato precipitosamente da Trento Luciano Flor, già direttore sanitario ai tempi di Adriano Cestrone, costretto a emigrare per contrasti con l’allora segretario alla sanità Giancarlo Ruscitti (gli aveva contestato un danno erariale con denuncia alla Corte dei Conti). Qui il collegamento vincente è con il mondo accademico, al quale Flor sacrifica tutto: lo stipendio (a Padova guadagnerà meno) e purtroppo anche la faccia (a Trento, dove l’avevano appena riconfermato con un premio di 38.000 euro, l’hanno presa malissimo e non lo mandano a dire).

Nel Veneto orientale il direttorio conferma Carlo Bramezza, a Bassano insedia Giorgio Roberti: il primo su pressioni del numero due di Zaia, Gianluca Forcolin, il secondo per una convergenza più vasta capitanata dall’assessora Elena Donazzan. Così risulta a molti. Non a Luca Zaia, che respinge indignato: ragioni oggettive, dice, zero pressioni politiche. Bisogna credergli sulla parola, gli atti di fede non sono vietati.

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Zaia e l’Azienda Zero l’uomo solo al comando

Mantoan si arrende e depone le armi. Contratto rinnovato

30 gennaio 2016 

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