Roberto Mania. Un vertice Renzi-Poletti servirà oggi a sciogliere gli ultimi nodi dei quattro decreti attuativi del Jobs act che saranno varati domani dal Consiglio dei ministri. Il premier e il ministro del Lavoro dovranno in particolare decidere se modificare, come ha chiesto la Commissione Lavoro della Camera, la nuova disciplina sui controlli a distanza dei lavoratori oppure — come appare molto più probabile — ignorare il parere non vincolante dei parlamentari.
Quest’ultima sembra la posizione del premier. Poletti è invece più sensibile alle richieste parlamentari e al pressing dei sindacati. E che alla fine sia la linea di Renzi destinata a prevalere è piuttosto scontato. D’altra parte, il governo non tenne conto delle posizioni emerse in Parlamento anche nel caso del superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, provocando non poche polemiche con la minoranza del Partito democratico. Schema che potrebbe facilmente ripetersi ora con l’affermarsi di una linea hard sui controlli con le videocamere e con i tablet e i pc dei lavoratori. Dunque la decisione di oggi avrà anche un valore politico.
Con i quattro provvedimenti che saranno licenziati domani si conclude l’iter della riforma del mercato del lavoro. Insieme alla norma sui controlli a distanza che modifica un articolo (il quarto) dello Statuto dei lavoratori, arrivano la riforma della cassa integrazione con l’introduzione di un meccanismo bonus/malus che fa pagare di più le imprese che utilizzano effettivamente l’ammortizzatore sociale e l’Agenzia nazionale per l’impiego con l’obiettivo di centralizzare e rendere più efficiente l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (da noi meno del 3 per cento delle assunzioni passa dagli uffici del collocamento). Sarà modificata pure la contrastata norma che regola le assunzioni dei lavoratori disabili con l’estensione della possibilità di ricorrere, da parte dei datori di lavoro, alla chiamata diretta anziché numerica.
Ma sono i controlli a distanza il tema più controverso dei decreti. Il punto riguarda l’utilizzo che il datore di lavoro può fare dei dati raccolti attraverso i controlli a distanza, con le videocamere fisse e con gli strumenti mobili (tablet, smartphone, pc) affidati al lavoratore per l’esercizio della propria attività. L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori del 1970 vietava esplicitamente qualsiasi tipo di controllo a distanza sui lavoratori. Il cambio culturale (e politico) non è dunque di poco conto. E l’idea del governo (in contrasto con le indicazioni pervenute dalla Commissione di Montecitorio) è quella di estendere la possibilità di provvedimenti anche disciplinari, a tutela del patrimonio aziendale e della sicurezza per esempio, in seguito a informazioni ottenute attraverso il controllo a distanza. A garanzia del lavoratore vi sarebbe l’obbligo di rispettare la normativa sulla privacy (il controllo non può essere continuo e deve essere fatto a campione) e l’introduzione ( ma per ora è solo un’opzione) di sanzioni penali in caso di violazione della normativa. Un’opzione che, non snaturerebbe il provvedimento.
C’è poi la riforma della cassa integrazione. Resteranno la cassa integrazione ordinaria (per fronteggiare le crisi congiunturali) e la cassa integrazione straordinaria (per le crisi strutturali). Verranno estese a tutte le imprese e cambierà il finanziamento: verserà più contributi chi utilizzerà di più la cassa integrazione. Questo meccanismo insieme al divieto di ricorrere alla cassa integrazione per le aziende che cessino l’attività (oggi ci sono lavoratori da anni in cassa integrazione di aziende che praticamente non esistono più) dovrebbe fruttare un risparmio sul costo del lavoro per tutte le imprese che attualmente versano i contributi per la cig, intorno al 10 per cento.
Nessuna marcia indietro, infine, sulla disposizione che estende a tutte le aziende la possibilità della chiamata diretta per le assunzioni dei lavoratori disabili.
L’intervista/Il presidente della commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano
“Se non ci ascoltano, leggi delega inutili”
«Sarebbe grave se il governo anche questa volta finisse per ignorare i pareri delle Commissione parlamentari. A questo punto non resterebbe che abolire le leggi delega o i pareri, per quanto non vincolanti, dei parlamentari». Cesare Damiano, esponente dell’area dialogante della minoranza del Pd, presidente della Commissione Lavoro della Camera, teme che il prossimo Consiglio dei ministri possa varare gli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs act senza considerare le proposte parlamentari.
Secondo lei il governo terrà conto dei pareri delle Commissioni?
«Sarebbe ora che lo facesse viste le esperienze negative che abbiamo alle spalle. Mi riferiscono in particolare alla vicenda dei contratti a termine in cui venne faticosamente definito un compromesso tra le Commissioni e il governo che è stato poi cancellato dal Consiglio dei ministri.
Si è trattato evidentemente di uno schiaffo nei confronti del lavoro dei parlamentari».
E se dovesse arrivare un nuovo schiaffo?
«Sarebbe grave. C’è un problema di fondo che riguarda il rispetto delle professionalità che si esprimono durante il lavoro parlamentare nella ricerca di un possibile compromesso con il governo. Se poi il premier cambia l’accordo, allora è meglio che venga direttamente lui a trattare così si risparmia tempo».
Visto che i pareri delle Commissioni non sono vincolanti non si potrebbero abolire?
«Forse sarebbe meglio abolire direttamente le leggi delega».
Lei ha parlato di compromessi. Qual è il compromesso che avete raggiunto sul tema dei controlli a distanza dei lavoratori?
«Con il ministero del Lavoro si è convenuto nel distinguere la disciplina relativa alle videocamere installate nei luoghi di lavoro e quella riguardante gli strumenti di lavoro affidati al lavoratore, dal tablet al personal computer. Nel primo caso abbiamo proposto di mantenere la vecchia normativa dello Statuto dei lavoratori che consente l’utilizzo della videosorveglianza, previo accordo sindacale, esclusivamente ai fini della sicurezza degli impianti o della salvaguardia del patrimonio aziendale. I dati raccolti dalle videocamere non possono che essere utilizzati a queste due finalità e non a fini disciplinari».
E per gli strumenti affidati al lavoratore per svolgere la sua attività?
«In questo caso il compromesso prevede che al lavoratore vengano forniti, senza accordo sindacale, gli strumenti di lavoro. I dati raccolti attraverso tablet, smartphone, pc e così via, nel rispetto della normativa sulla tutela della privacy, possono essere utilizzati anche a fini disciplinari. Ci è sembrata una distinzione ragionevole e pertinente che il ministero del Lavoro ha condiviso. Abbiamo lavorato con grande attenzione anche sugli altri capitoli, riforma della cassa integrazione, agenzia nazionale per l’impiego, assunzioni dei lavoratori disabili. Ci tengo alla professionalità del lavoro del Parlamento che non può essere cancellato con un semplice tratto di penna».
Repubblica – 3 settembre 2015