Sul nodo farmaci, complice il provvidenziale voto sull’Italicum, è scivolata anche la terza convocazione utile per la sigla dell’Intesa sui tagli in Sanità. Mercoledì scorso, ennesima fumata nera: si tenterà di nuovo, con ogni probabilità, giovedì 7 maggio. E il tempo, come ha dichiarato il presidente dei governatori Sergio Chiamparino, «non è una variabile indipendente»: ogni settimana, ogni mese che passa, rendono ancora più ardua la definizione della partita-tagli da 2,35 miliardi per la sanità.
Tanto che c’è chi immagina uno “sconto” da un miliardo. La vera doccia gelata alla sottoscrizione dell’Intesa è arrivata, per la verità e inaspettatamente, dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Che non ha esitato a bocciare il testo essenzialmente per la parte farmaci.
E il tempo, come ha dichiarato il presidente dei governatori Sergio Chiamparino, «non è una variabile indipendente»: ogni settimana, ogni mese che passa, rendono ancora più ardua la definizione della partita da 2,35 miliardi.
«Le Regioni – ha detto infatti Chiamparino – sono pronte a sottoscrivere l’Intesa sulla base dei contenuti dell’ultimo documento elaborato congiuntamente con il Governo. Dobbiamo però constatare che la manovra, pensata su base annuale, più passa il tempo e più diventa difficile da attuare nella sua interezza. Va evidentemente prevista qualche revisione o una forma di alleggerimento della stessa. Per quello che ci riguarda siamo pronti anche ad accettare un percorso di monitoraggio congiunto per valutare la fattibilità e la possibilità del raggiungimento degli obiettivi previsti».
Meno conciliante l’assessore lombardo Massimo Garavaglia, coordinatore degli assessori regionali al Bilancio: «La settimana precedente la “ciambella” del Def, mercoledì scorso la legge elettorale… quanto a lungo il governo pensa di giocare sui rinvii accampando scuse? E chiaro che dietro c’è il mero calcolo elettorale del premier Renzi, che non se la sente di andare alle urne con l’eredità pesante dei tagli in Sanità. Ma una cosa è certa: quando finalmente ci si deciderà a siglare l’Intesa e la manovra non potrà più attestarsi sui 2,3 miliardi previsti, andrà sfoltita di almeno un miliardo. Duecento milioni al mese, tanti quanti ne avremo persi a partire da gennaio. L’alternativa, pesantissima, è costringere molte Regioni a innalzare ulteriormente Irap e addizionali Irpef. Sempre a spese dei bilanci locali e, in definitiva, dei cittadini».
La vera doccia gelata alla sottoscrizione dell’Intesa è arrivata, per la verità e inaspettatamente, dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Che non ha esitato a bocciare il testo proprio quando i presidenti si accingevano a esaminarlo, riveduto e corretto dal ministero (da chi, se la stessa ministra non lo condivide?) sulla base dei rilievi mossi la settimana prima dai tecnici regionali. Il capitolo farmaci da cui sono attesi 500 milioni di euro di risparmio su base annua è il vero tasto dolente di questa partita a scacchi tra Governo e Regioni, costantemente ferma a un passo dalla conclusione. «Se le Regioni pensano di liberare con la stretta sui farmaci risorse da utilizzare a proprio vantaggio, se lo scordino: non esiste. E sull’epatite C, il fondo è quello inserito nella legge di Stabilità: non è pensabile prevedere un payback per le spese aggiuntive, quel testo non è statoo approvato ne da me ne dal resto del governo».
E poi il rincaro: «Tagli lineari non ne accettiamo», dichiara Lorenzin a questa testata. L’intesa non è tenera nemmeno con i privati e anche questo punto non è gradito alla ministra, che spiega: «Dove c’è una sana concorrenza tra pubblico e privato le cose funzionano meglio». La novità dell’ultimo tentativo conclusosi con una fumata nera è quindi che perfino il ministero, a questo punto, prende le distanze.
In buona compagnia con Regioni da sempre sull’Aventino, come il Veneto dell’assessore Luca Coletto. Che dall’approvazione della legge di Stabilità 2015, all’origine dell’ultimo giro di vite imposto al Servizio sanitario nazionale con la previsione di una scure da 4 miliardi sulle casse regionali, grida alla macelleria sociale. «Siamo semplicemente determinati a difendere il diritto alla salute, non solo dei veneti, ma di tutti gli italiani, perché è vicinissimo il momento dell’insostenibilità. Basti pensare – afferma Coletto – che la previsione del Def al 2020, che non è lontano, dedica alla sanità il 6,6% del Pil, quando l’Oms ci dice che sotto il 6,5% comincia a diminuire l’aspettativa di vita per la gente. E intanto niente costi standard, l’unico strumento per incidere effettivamente sugli sprechi, niente distinzioni tra virtuosi e spreconi, niente che vada a mettere ordine dove si buttano i soldi. Così non si rispetterà nemmeno la Costituzione nella parte in cui sancisce per il popolo italiano l’assistenza sanitaria universalistica».
E il Patto per la salute? Tutto da rifare. Perché cambiano le regole e, di sicuro anche se ancora non si sa di quanto, diminuiranno le risorse per il Fondo sanitario nazionale. E quanto ai Lea, più dei nuovi, che sono un cavallo di battaglia della ministra, bisognerà salvaguardare i “vecchi”, che rischiano di scivolare via.
a cura di Barbara Gobbi Lucilla Vazza – Il Sole 24 Ore sanità – 5 maggio 2015