Il quotidiano Le Monde apre un caso sull’agenzia europea per il controllo. «Chi deve controllare ha lavorato per anni come consulente per i grandi colossi industriali». C’è un nuovo scandalo conflitto d’interessi all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) di Parma. L’organizzazione non governativa Pesticide Action Network ha infatti denunciato poca chiarezza nella composizione del gruppo di lavoro responsabile di un parere sul metodo di misurazione della tossicità di alcune particelle che si ritrovano all’interno della catena alimentare umana. A essere interessati da queste misurazioni, tanto per citare alcuni casi, sono i residui di pesticidi, d’imballaggio e gli additivi. Non è la prima volta che vengono alla ribalta questi casi.
Tra sospetti, denunce e accertate irregolarità, l’agenzia di Parma, che proprio quest’anno compie dieci anni, si è trovata spesso sommersa dalle critiche sulla sua indipendenza e trasparenza. Ma facciamo un passo indietro.
L’Efsa arriva nel 2002 nella provincia emiliana, dopo avere strappato la sede in extremis a Helsinki, grazie alla “corte fatta alla presidentessa finlandese Tarja Halonen” dall’allora premier Silvio Berlusconi. Una battuta infelice che causò una crisi diplomatica che non deve aver portato fortuna all’agenzia europea, a giudicare dagli scandali che l’hanno colpita negli anni. In questi giorni il quotidiano Le Monde ha riportato parte della corrispondenza interna alla Efsa pubblicata dalla Pan. Secondo queste fonti, un intero gruppo di lavoro incaricato di redigere il parere scientifico è stato costituito tutto da una sola persona. Si tratta di Susan Barlow, un’importante tossicologa, membro del comitato scientifico Efsa, ma, sempre secondo Le Monde, legata a doppio filo al mondo dell’industria. Il quotidiano francese ricorda il suo impegno fin dai primi anni 2000 con la Philip Morris e le consulenze a multinazionali come Pepsi Cola, Pfizer, Rio Tinto e Plastics Europe.
Che una professionista dia delle consulenze a privati è assolutamente legale. Ma se ricopre anche un ruolo di rilievo in un comitato scientifico che redige pareri qualificati e vincolanti a livello europeo, la questione assume tutt’altra piega. Specie se il gruppo di lavoro lo costituisce tutto lei.
Nello specifico il gruppo dell’Efsa ha giudicato il metodo di misura della tossicità di alcune particelle che finiscono nella nostra catena alimentare. Si tratta del cosiddetto “Threshold of Toxicological Concern” (soglia di preoccupazione tossicologica, ndr), calcolato secondo un approccio messo a punto a metà anni Novanta dalle industrie riunite attorno all’International Life Sciences Institute (ILSI), che però non ha convinto le Ong. Per questo motivo nel dicembre 2010 Pesticide Action Network e ClientEarth avevano chiesto accesso ad alcuni documenti Efsa riguardanti l’approvazione di sostanze attive presenti nei pesticidi. C’è voluto una sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea relativa a un caso simile per convincere l’agenzia di Parma a rendere pubblici i documenti.
Di certo non è la prima volta che l’Efsa ha problemi di trasparenza. Lo scorso dicembre, il Mediatore europeo, incaricato di supervisionare i casi di cattiva amministrazione Ue, aveva stabilito che “l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare non ha osservato le regole procedurali stabilite per scongiurare eventuali casi di conflitto di interesse degli esperti che lavorano al proprio interno” dopo la denuncia della tedesca Testbiotech. Sotto accusa Suzy Renckens, direttrice dal 2002 al 2007 dell’unità gruppo di esperti per la valutazione del rischio Ogm dell’agenzia, passata alle dipendenze della multinazionale transgenica Syngenta nonostante la normativa europea preveda che cose di questo tipo devono essere comunicate alle istituzioni Ue almeno due anni prima delle dimissioni.
Ma l’elenco delle presunte irregolarità è lungo. Nel marzo 2011, con una lettera al Commissario Ue per la salute e i consumatori, John Dalli e alla direttrice Efsa, Catherine Geslain-Lanéelle, l’organizzazione Corporate Europe Observatory denuncia che almeno quattro esperti del Consiglio d’amministrazione dell’agenzia avevano legami con organismi di lobby dell’industria alimentare. Del resto, avere l’ok dell’agenzia su un determinato prodotto, ogm o composto alimentare, vuol dire porte aperte nel mercato europeo per le imprese produttrici, in una parola “soldi”.
E meno male che sul sito dell’agenzia si legge: “I membri del comitato scientifico, dei gruppi di esperti scientifici e dei gruppi di lavoro, nonché gli altri esperti esterni che contribuiscono all’attività dell’Efsa, sono selezionati sulla base della loro esperienza e competenza scientifica e di criteri oggettivi e trasparenti”.
Ilfattoquotidiano.it – 31 gennaio 2012